Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 17 dicembre
Sei anni sono passati dall’ottimo e sorprendente esordio alla regia di Sergio Castellitto. Allora c’era Non ti Muovere, oggi tocca a La Bellezza del Somaro, scritto sempre in coppia con la moglie/scrittrice Margaret Mazzantini. Se il primo titolo, con una splendida Penelope Cruz protagonista, stupì pubblico e critica, questa seconda prova lascia semplicemente sgomenti. Per quale motivo Sergio Castellitto si sia voluto trasformare nella versione ‘atroce’ di Carlo Verdone è il quesito che aleggia sul titolo, sconcertante per quanto surreale e fastidiosamente tirato per i capelli nel suo voler ‘volare alto’ utilizzando toni da commedia.
Giocando con la paura della morte, esplicitata in ogni sua forma e in ogni secondo di film, Castellitto e la Mazzantini deragliano pericolosamente attraverso una pellicola che non ha capo ne’ coda ne coda, ingiustificabile nel suo prendersi eccessivamente sul serio, urlata e forzata, eccessiva fino all’incredulità e condita da dialoghi e personaggi al limite del ridicolo.
Due mondi, tanto diversi quanto simili. Quello dei giovani di oggi, perenni precari, senza stipendio e senza pensione futura, somari impazziti pronti sempre a stupire attraverso scelte tanto coraggiose quanto impulsive, e quello dei genitori, cinquantenni incapaci di crescere, di maturare, spaventati dalla vecchiaia e dalla morte, tanto da farsi l’amante ventenne, sbiancarsi i denti, pompare i tricipiti, farsi la moto e le canne, dopo aver acquistato il fumo dal figlio spacciatore, ciucciare lecca lecca, giocare a ruba bandiera e fingersi ‘aperti’ e ‘moderni’. Due mondi che Castellitto prova a pennellare con toni da commedia, da farsa, talmente eccessiva e gratuita da stancare dopo 5 minuti 5 di pellicola.
Tutto in La bellezza del Somaro è finto, ostentato, stereotipato. La coppia di genitori energetica, dialogica, ecosolidale, tollerante, acculturata, composta da Sergio Castellitto e Laura Morante, viene letteralmente travolta dal nuovo ‘fidanzatino’ dell’adorata figlia Rosa. Un settantenne dolce e dai modi gentili, interpretato da un eccessivamente saggio Enzo Iannacci, che fa crollare il loro castello maledettamete ‘politically correct’. Certi di essere ‘pronti a tutto’, rimangono di sasso nel vedere dinanzi ai propri occhi tutte le loro paure personificate in un viso, pieno di rughe e dominato dai capelli bianchi. Il viso di un vecchio, più vicino alla morte che alla giovinezza, al fianco della loro figlia ancora minorenne. L’incontro/scotro avviene in un ‘tranquillo weekend di paura’ in una splendida cascina di campagna in Toscana, tra somari, pitoni, amici cinquantenni disastrati e disastrosi, tanto come genitori quanto come adulti, badanti rumene dal pugno di ferro, matti certificati in vacanza ‘premio’ e una serie di situazioni talmente impensabili da far risultare il tutto ingiustificabile.
Condendo il tutto con un’aurea ‘borghese’ forzatamente acculturata, Margaret Mazzantini finisce per peggiorare la già criticabile opera, attraverso dialoghi grotteschi e scene da teatro del ridicolo, mantenendo intatto per tutto il film il tema della morte, talmente ostentata in ogni sua forma da far crollare anche le buone intenzioni iniziali che, secondo Castellitto, dovevano dipingere “un vecchio portatore di verità scomode come pernacchie in una coperta inamidata, in una società siliconata in cui a dominare sono l’impresentabilità della morte e della vecchiaia“. Buone intenzioni, per l’appunto, malamente scritte e dirette, in una commedia che si presentava come ‘degli equivoci’, equivocando palesemente sul genere toccato con coraggio e presunzione.
La speranza, a questo punto, è che con il prossimo film della coppia Castellitto/Mazzantini, Venuto al Mondo, tratto ancora una volta da un romanzo della moglie del regista, e nuovamente interpretato da Penelope Cruz, si possa tornare agli applausi scroscianti e meritati di Non ti Muovere, perché la bellezza di quest’opera seconda è purtroppo rimasta a troneggiare solo nell’azzeccato titolo.
Voto: 4