Il caso Yara, la docuserie Netflix scatena le polemiche: sui social è caccia agli innocentisti

Condividi

Ha fatto molto parlare, di recente, il docufilm Il caso Yara di Netflix. Il documentario incentrato sul caso della povera Yara Gambirasio ha suscitato emozioni contrastanti, con molti utenti che hanno avvalorato la tesi dell’innocenza di Massimo Bossetti.

Massimo B

Massimo Bossetti – Spetteguless.it

Una polemica che sta tenendo banco su social e giornali. Come successo qualche settimana fa per la strage di Erba, ultimamente alcuni italiani sembrano essersi appassionati ai docufilm riguardanti i casi di cronaca nera più eclatanti del nostro Paese. Programmi che stanno facendo registrare audience altissime, ma suscitano reazioni innocentiste e complottiste. Nel nostro attuale ordinamento giuridico abbiamo tre gradi di giudizio, ed è con queste che Massimo Bossetti è stato ritenuto colpevole per l’omicidio della piccola Yara.

L’uomo si trova attualmente incarcerato nell’Istituto Penitenziario di Bollate, in provincia di Milano, dopo essere stato ritenuto colpevole dalla Corte di Cassazione nel 2018. È il novembre del 2010, quando Yara Gambirasio, ragazzina di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo, scompare mentre rientra a casa dopo essersi allenata nella palestra di ginnastica ritmica. Della tredicenne, da quel 26 novembre 2010 non si sa più nulla.

Yara Gambirasio, non c’è pace: dopo il docufilm Netflix, sui social spuntano gli innocentisti. Una vergogna

Il corpo dell’adolescente verrà ritrovato solo tre mesi dopo, nel febbraio del 2011 in un campo di aeromodellismo di Chignolo d’Isola, a 10 km da Brembate. La ragazza è morta di freddo, e ha evidenti segni di accoltellamento, stabilirà poi il medico legale, che trova tracce biologiche sugli indumenti della ragazza che portano a un profilo genetico maschile noto come Ignoto 1.

Un dolore, quello della famiglia Gambirasio, difficile da comprendere, nel sapere quanto la loro bambina abbia sofferto nelle ore precedenti lo stupro, per mano, in quel momento, di uno sconosciuto. Dopo pochi mesi, tuttavia, il volto e l’identità del colpevole diventano note, grazie al lavoro incessante della Polizia scientifica decisa più che mai a dare risposta a dei genitori tanto distrutti dal dolore e dare un nome al colpevole.

Il DNA risulterà poi uguale a quello dell’operaio edile Massimo Bossetti, poi ritenuto colpevole e condannato all’ergastolo in primo secondo e terzo grado. Eppure, dopo la pubblicazione del docufilm di Netflix, sui social sono spuntati molti innocentisti, convinti della non colpevolezza di Bossetti. È proprio necessario rinvangare un episodio tanto doloroso, già giudicato con i tre gradi di giudizio che prevede la nostra Costituzione? Perché dare ancora tanto dolore ai parenti e genitori rimasti della povera Yara?

Autore

Articoli correlati

Impostazioni privacy