“Se io fossi straniera vorrei essere italiana, e quando vinco un premio ovunque io sia il mio primo pensiero è per la mia terra, e ne vado fiera. Dobbiamo essere fieri di noi stessi, perché il «nostro dopo» sarà un nuovo Rinascimento, il nostro «poi» sarà favoloso, perché noi saremo i più bravi del mondo a ricostruirlo.
Dobbiamo ricordarcelo bene questo senso di vicinanza, questo desiderio che ci scoppia dentro al cuore di abbracciare le persone che amiamo. Dobbiamo ricordarci questo sentire che ci accomuna tutti, dobbiamo ricordare questa voglia di fare, di aiutare, di donare, di vivere i drammi di tutti come propri. Io ad esempio ho scelto la Croce rossa dell’Emilia-Romagna per stare vicino alla mia regione, ma tantissimi stanno facendo dei gesti straordinari, ognuno come può. È questo sentimento, questa grande generosità, questa passione, che ha reso l’Italia il posto più incredibile della terra.
Un uomo senza piedi non resta in piedi, e il mondo senza il suo Stivale può anche continuare a ruotare, ma non avrà mai la forza di trovare una direzione e una stabilità.
Ha bisogno dell’Italia, e l’Italia siamo noi”.
Così Laura Pausini, in un lungo pezzo scritto di suo pugno al Corriere della Sera, ha raccontato la sua quarantena, e come stia spiegando alla figlia Paola “quello che sta succedendo perché le sue domande sono diventate sempre più insistenti“, cedendo immancabilmente alla retorica del nazionalismo spinto. Perché quanto ci piace raccontarci che siamo i mejo de tutti. E le madonne di due giorni fa, mute.