Dopo il rientro di Chico Forti in Italia, Roberta Bruzzone racconta di aver lavorato al caso ed avere una sua opinione al riguardo.
Ha fatto tanto scalpore il rientro, dopo più di 20 anni, di Chico Forti in Italia. Il detenuto, condannato all’ergastolo negli USA per l’omicidio di Dale Pike, è tornato nel suo Paese per scontare gli ultimi anni della pena. L’opinione pubblica, ovviamente, si è divisa, soprattutto quando ha visto Giorgia Meloni incontrarlo personalmente: Roberta Bruzzone, criminologa, ora dice la sua.
Chico Forti: lo scalpore del rientro in Italia
La notizia del rientro di Chico Forti in Italia è stata una delle più divisive degli ultimi tempi: da un lato, chi gioiva all’idea che un detenuto da sempre dichiaratosi innocente potesse aver finalmente ottenuto giustizia. Dall’altro, il “bentornato assassino” che campeggiava sulle prime pagine delle principali testate giornalistiche, e lo scontro addirittura tra Le Iene e Il Fatto Quotidiano.
D’altronde, non poteva che essere così: Forti, 65 anni, è stato condannato all’ergastolo, da scontare in un carcere di massima sicurezza in Florida, per l’omicidio di Dale Pike, risalente al lontano 15 febbraio 1998. Da allora, si è sempre professato innocente, e per anni la sua famiglia ha lottato in modo che, quantomeno, il detenuto potesse rientrare in Italia per scontare il resto della pena.
Una lotta estenuante, che nell’immaginario comune avrebbe portato ad un nulla di fatto: Roberta Bruzzone, criminologa, ha raccontato “quattro anni fa era già stato annunciato questo rientro come imminente, quindi un po’ di scetticismo ce l’avevo”. Eppure, è successo, e il rientro del detenuto in Italia, accompagnato dall’accoglienza della Premier Giorgia Meloni, con enorme fastidio delle autorità USA, è stato accolto con la riapertura mediatica del caso: Forti è davvero innocente?
“I fatti dimostrano la sua innocenza”: parla Roberta Bruzzone
A dire la sua sulla colpevolezza di Forti, ritenuta certa dall’autorità giudiziaria statunitense, è stata anche la criminologa Roberta Bruzzone, la quale ha collaborato come consulente tecnica per la difesa a partire dal 2009. L’obiettivo, racconta Bruzzone, era dimostrare gli errori nelle indagini, oltre a quelli giudiziari.
Ma non si trattava di una situazione semplice: “per esaminare gli atti completo ci sono voluti tre anni, per far capire quante cose c’erano”, ha raccontato la criminologa, spiegando di aver lasciato il caso nel 2016 per divergenze d’opinione con l’allora avvocato di Forti, Joe Tacopina. La sua idea sulla colpevolezza di Forti, comunque, è rimasta molto chiara: “non c’è un solo elemento a suo carico che torni”, ha affermato, “tutti quelli che abbiamo raccolto sono propensi a dimostrare la sua estraneità ai fatti”.
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Bruzzone, in particolare, torna sulla bugia detta da Forti all’inizio delle indagini, quando aveva raccontato agli agenti di non conoscere Dale Pike. La paura, spiega la criminologa, può legittimamente portare a mentire all’inizio, e d’altronde anche la Polizia di Miami l’ha fatto. Forti, tuttavia, successivamente si è recato volontariamente al Dipartimento per raccontare i fatti, spiegando di aver incontrato la vittima e averla accompagnata ad un ristorante.
Oltre a questo, secondo Roberta Bruzzone, su Chico Forti “non c’è niente”, e il caso rappresenterebbe un errore giudiziario enorme. Che sia realmente così? In ogni caso, il trasferimento di Forti in un carcere italiano rappresenta un salto di qualità per il detenuto: qui, dice Bruzzone, “avrà accesso ad una serie di risorse che negli USA poteva solo sognare. Per quanto si parli in maniera drammatica delle carceri italiane, quelle americane sono una cosa molto vicina all’Inferno”.