Ogni anno, tendenzialmente due volte l’anno quando ha un film in ‘gara’, Gabriele Muccino sbrocca.
Nel corso delle 48 ore successive alle nomination ai Nastri d’Argento e ai David di Donatello, se snobbato Muccino attacca tutto e tutti. L’ha fatto anche questo fine settimana, dopo le 3 candidature per il suo Gli anni più Belli (pure troppe, per chi scrive). Prima ha provato a fare colui che se ne frega, che non se la lega al dito, con una storia Instagram di questo tenore: “I miei film parlano al posto delle scelte a cui mi hanno abituato le giurie dei nostri premi, a partire da quando il mio successo in Italia e poi nel mondo diventò evidentemente faticoso da accettare. Ma non farei mai a cambio. Mi tengo il pubblico. Loro si tengano il resto! A me va bene così!”.
In sostanza giurati del David (che sono attori, registi, sceneggiatori, tecnici della settima arte) e critici (giurati dei Nastri), non lo candiderebbero perché invidiosi di lui per i suoi due successi esteri con Will Smith. Già scritta così, fa ridere. Passate poche ore, Muccino è tornato alla carica: “Cari giurati del David. Questa volta l’avete fatta grossa. A perdere non sono io, ma la vostra credibilità, smarrita peraltro da tempo“. Finita la 24 ore isterica? Certo che no! Anzi, il meglio deve ancora venire.
Muccino, che poche ore prima aveva dato degli invidiosi a colleghi e stampa, ha twittato contro i Fratelli d’Innocenzo, candidati a 13 David di Donatello con Favolacce, in assoluto miglior film della passata stagione. “Sto provando a guardare da stamattina Favolacce. Non lo sono ancora riuscito a finire. Sarò poco intelligente o cinefilo per non capirne la grandezza?“.
Travolto dalle critiche, Muccino si è messo a citare Pasolini e Visconti, De Sica, Calvino, Monicelli, arrivando a cavalcare il solito politicamente corretto per uscir da un angolo che ogni anno, puntualmente, si apparecchia da solo, dall’alto di una spocchia a dir poco insostenibile e semplicemente ingiustificabile.