Il 26 aprile del 1996 entravo per la prima volta allo Stadio Olimpico di Roma, insieme a mio padre.
Avevo poco più di 14 anni e da poco, grazie soprattutto al fantacalcio, avevo iniziato ad interessarmi al pallone.
Mio papà, juventino, mi portò nel settore ospiti per il primo Roma-Juve della mia vita.
Il colpo d’occhio dell’Olimpico, il calore della Curva Sud e il giallorosso mi abbagliarono immediatamente, facendomi subito suo.
Finì 2-2, quell’incontro. In vantaggio di due goal, la Rometta di Carletto Mazzone si fece recuperare da un’autorete e da Padovano, che segnò da 35 metri con Cervone colpevole.
Quel giorno, titolare, c’era Francesco Totti, poco più che ragazzino.
Quel giorno la mia esistenza da tifoso prese forma, perché l’anno dopo mi abbonai, rimanendo un assiduo frequentatore dei distinti sud per 7 lunghi anni. Anni zemaniani, di Scudetti persi e vinti, di gioie e dolori.
21 anni da ‘ultrà’ in cui lui, Francesco Totti, c’è sempre stato. Tanto nel bene quanto nel male, vedi esagerazioni in campo ed evitabili esternazioni fuori, presto rimosse grazie anche alla vicinanza di quella monolitica Ilary Blasi, sempre al suo fianco e in prima linea nell’arprigli la mente anche verso il mondo LGBT.
Abbiamo vinto poco o nulla noi romanisti in quest’ultimo quarto di secolo, è innegabile, ma abbiamo avuto il piacere, il privilegio, l’onore di assistere ad autentiche magie con un pallone tra i piedi, per 8490 giorni consecutivi, ovvero 1213 settimane.
Meraviglie a pioggia, centinaia di goal, di assist, di passaggi impossibili, di esultanze iconiche, di colpi di tacco, di genio, di pura libidine pallonara.
Con Totti ho urlato, ho gioito, ho pianto come un bimbo, ho perso la voce, ho bestemmiato, ho applaudito, ho saltato, ballato, sofferto, imprecato, ho invaso il campo per far mio un pezzo di erba il giorno del 3° Scudetto, ho seguito la squadra in trasferta, preso l’acqua, il gelo e sudato. Pensando a lui mi sono abbondantemente masturbato, in quell’apoteosi ormonale che ancora oggi, a 40 anni suonati, lo vede davanti a tanti giovani colleghi. Perché il calcio, checché se ne dica, non è solo e soltanto ad uso e consumo del mondo eterosessuale. Leggende metropolitane.
Chiunque non sia romanista non potrà forse mai capire cosa Totti abbia rappresentato per il Calcio, nazionale e non, e cosa capiterà quest’oggi, 28 maggio 2017, quando appenderà definitivamente gli scarpini al chiodo, diventando dirigente. Perché Totti non potrebbe mai indossare colori diversi dal giallorosso. Mai.
Una giornata particolare, una festa emozionale che vedrà 70.000 persone e una città intera con il volto rigato dalle lacrime e il cuore in sussulto.
Inspiegabili follie che solo il calcio può giustificare, nella loro ingiustificata realtà, per un passionale sport a cui il Capitano ha dato tanto ricevendo purtroppo in cambio poco o niente, a causa di una squadra spesso sfortunata nell’incontrare cicli incredibili di squadre imbattibili (prima l’Inter e poi la Juve, nove volte 2° dal 2001).
Oggi, in quello stadio Olimpico vestito a festa tra scenografie kolossal, effetti speciali, istituzioni, parenti, amici e giornalisti in arrivo da tutto il mondo (e richieste da 300.000 ticket), il mio io ‘tifoso’ sarà costretto a voltar pagina, con la quasi certezza che altri Totti, almeno a Roma ma forse in qualsiasi altro angolo del Pianeta, non si vedranno probabilmente più. Ecco perché nella sua spaventosa malinconia sarà comunque una giornata di gioia, perché quei 25 anni di sovrumano CALCIO noi romanisti ce li siamo goduti dal primo all’ultimo minuto, esultando sempre e soltanto con indosso la stessa identica maglia, e mai li dimenticheremo. Per sempre Capitano.