‘Cerno frocio! Cerno finocchio! Gay di merda! L’ho sentito dire mille volte, da quando avevo quindici anni. A volte sussurrato, a volte urlato. Ci resti male, ti senti solo, poi reagisci. E proprio per questo ho deciso, fin da ragazzino, di parlare apertamente della mia omosessualità. Perché da qualche parte, pensavo mentre tutti – dagli insegnanti a mamma e papà – mi consigliavano di risolvere tutto all’italiana, facendo finta di niente, vivendo la mia vita senza dare nell’occhio, pensavo che da qualche parte si deve pur cominciare a rompere la retorica, il silenzio, il politicamente corretto che crede di ridare la vista ai ciechi solo perché li chiama non vedenti‘.
Con queste parole Tommaso Cerno, 8 mesi fa, denunciava sulle pagine dell’Espresso l’incredibile escalation di violenza social che l’aveva travolto. Minacciato di morte perché gay l’allora direttore del Messaggero Veneto sputtanò Twitter, che aveva infatti deciso di non fornire elementi alla procura per risalire ai picchiatori omofobi del web.
Da allora Cerno, sempre in prima fila per i diritti LGBT, c’ha più volte messo la faccia, chiamando i ‘froci’ come lui a non pagare più le tasse, dopo l’ennesimo rinvio sulle unioni civili un tempo arrivato dalla Camera dei Deputati.
Un uomo battagliero, ‘fiero’ della propria omosessualità, ora 40enne, 20 anni fa dirigente nazionale dell’Arcigay e da oggi nuovo direttore dell’Espresso.
Una meritata ‘promozione’ per un giornalista competente che non ha mai indossato maschere.