Sono al cinema, quando in tutto il mondo si diffonde la notizia della morte di Prince.
57 anni appena. Decesso ancora avvolto nel mistero.
Trovato senza vita nell’ascensore di casa, pochi giorni dopo un ricovero rapidamente marchiato con la stigmate dell’influenza.
Tornato a casa accendo il pc, mi preparo qualcosa da sgranocchiare, corro in bagno e da lontano, sulla schermata del Mac, vedo sulla prima pagina di Repubblica il suo volto. Il suo nome. A 9 colonne. E lì capisco.
La morte di Prince è uno shock per tutto il mondo della musica, del pop. Per tutti quelli che, come me, sono figli degli anni ’80.
Perché quel decennio che sconvolse il panorama musicale internazionale fu letteralmente dominato da 3 nomi, due dei quali ormai scomparsi. Prematuramente.
Michael Jackson, Madonna e per l’appunto Prince.
Più che un artista un genio, un’icona di stile, sicuramente egocentrico e ossessivo, per certi versi al limite della follia e negli ultimi anni dichiaratamente omofobo (Da Bourgeoisie), con i nomi più disparati cambiati nel corso degli ultimi 15 anni e una capacità più unica che rara nel far tutto. Comporre, cantare, suonare. 39 album studio più 5 album “colonna sonora”, 3 live, 5 raccolte, 9 raccolte di video e 105 singoli, più sette Grammy Awards, un Oscar e un Golden Globe, oltre ad un centinaio di milioni di copie vendute in tutto il mondo. Nel 2002 sposò la Chiesa dei Testimoni di Geova e perse la brocca, letteralmente, sbandierando ai 4 venti la sua avversione ai matrimoni gay e alle adozioni per i gay, diventando paladino ultraestremista contro quegli stessi omosessuali che a lungo l’avevano venerato.
Madonna, sua grande amica, si è detta devastata dalla notizia, purtroppo confermata e per molti difficile da mandar giù.
Perché un’altra colonna portante degli anni ’80, questa sera, c’ha lasciato per sempre.