Premessa: il sottoscritto è cresciuto con Renato Zero.
Sono stato e ancora oggi mi definisco un sorcino. In casa siamo sempre stati tutti suoi fan. Mia sorella, i miei genitori e parenti vari.
Renato, poi, a Roma è ancora oggi una sorta di mito inattaccabile.
Un artista straordinario che ha regalato capolavori su capolavori alla musica italiana. Un trasformista che negli anni ’70 e ’80 osò, portando nelle case di tutta Italia la trasgressione, l’irriverenza e perché no, l’omosessualità.
Negli anni ’90 la svolta, che l’ha visto tramutarsi in altro, ovvero in un cantore dell’amore democristiano riuscito non a caso ad ampliare il proprio pubblico. Perché Renato piace a tutti, omofobi e cattoestremisti compresi, nella sua teatralità, nella sua simpatia, nei suoi eccessi e nella sua musica.
C’è poi quell’insopportabile ipocrisia che ancora oggi, sul palco di Sanremo, l’ha visto calcare l’Ariston tutto di nero vestito. Nessun nastrino rainbow, per lui (che siamo matti), ma soprattutto uno sconclusionato discorso in cui ha elogiato la FAMIGLIA (tradizionale) made in Betlemme (‘la famiglia è importante, se ne parla adesso come se fosse una novità, ma quella famosa capanna in cui il Signore era lontano quella notte, abbiamo imparato che la convivenza deve essere esercitata tra le 4 pareti di casa’), ha confessato di frequentare persino i supermercati (tu pensa) e si è dato dell’ALIENO TRA GLI ALIENI (‘ringrazio la diffidenza di molti di voi che era molto giustificata perché gli alieni sbarcarono in quegli anni sulla Terra e me ne accorsi io perché ero uno di loro, e li rappresento modestamente tutti’), pur di non usare quell’altra parolina tanto temuta eppure così semplice, da pronunciare. Tre lettere.
Un alieno tra noi ‘NORMALI’, invece lo definirei, perché a 65 anni, nel 2016, ancora spalle al muro nei confronti di quell’accettazione che solo lui, nell’Italia tutta, non ha ancora trovato il coraggio di cogliere.