Quel che è avvenuto ieri sera sul campo del San Paolo è qualcosa di probabilmente epocale, perché in grado di stracciare quel velo di ipocrisia-misto-omertà che per decenni ha attraversato il calcio italiano. Le accuse rivolte in diretta tv da Roberto Mancini a Maurizio Sarri non si erano davvero mai viste, perché nessun altro allenatore del nostro campionato aveva prima d’ora rigettato con tanto veemenza insulti così gratuitamente omofobi. Per anni protagonista del calcio britannico, Mancini si è invece detto indignato nei confronti dell’allenatore toscano, recidivo dopo un’altra carrellata di insulti omofobi vomitati nel 2014 e ieri sera tutt’altro che ‘pentito’ per quanto detto a fine match nei confronti del collega. La notizia, va da se’, ha fatto il giro del mondo, riportando il calcio italiano sulle prime pagine internazionali. Ma per il peggiore e schifoso dei motivi. Con la sua ponderata accusa il tecnico nerazzurro ha letteralmente ribaltato un tavolo a lungo saldamente ancorato a terra, scoperchiando il vaso omofobo del calcio tricolore, chiamato ora a guardarsi allo specchio.
Perché se in parlamento ci si scontra sulle unioni civili, è inammissibile constatare che all’interno della FIGC, guidata da un presidente più volte accusato di omofobia (Tavecchio), trovino spazio personaggi che ancora oggi, nel 2016, possano utilizzare insulti omofobi come se stessero banalmente masticando chewingum. Mancini, da sempre ‘chiacchierato’ perché elegante con la sua sciarpa ben legata al collo e il ciuffo inappuntabile, ha invece tirato fuori in un’unica sera più palle lui che decine e decine di allenatori visti sui campi di Serie A nei 100 anni precedenti, aprendo di fatto un dibattito, quello legato al calcio omofobo tricolore, troppo a lungo rinviato.
Grazie Mancio.