Mika e l’omofobia: la risposta all’insulto è ‘siamo qui, siamo tanti, siamo forti’

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Una bellissima intervista rilasciata a Giuseppe Videtti di Repubblica, quella targata Mika e finita sull’edizione domenicale del quotidiano.
Dopo l’insulto apparso su un manifesto toscano in piena estate (FROCIO), il cantante di origini libanesi è diventato una sorta di PALADINO dei diritti glbtq, essendo lui gay dichiarato da sempre. O quasi. A breve di nuovo su piazza con 3 attesi concerti, 27 settembre a Milano, il 29 a Roma, il 30 a Firenze, Mika è così tornato a mente fredda su quel brutto episodio di omofobia all’italiana, spaziando tra il proprio passato e il presente tricolore, che vede il Bel Paese ancora assai arretrato dal punto di vista dell’accettazione.

Mi sono arrabbiato perché quando per tanto tempo hai subìto questo tipo di violenza risprofondi spietatamente nel passato. Uno spaventoso riflesso emozionale: mi sono sentito esattamente come quando da adolescente mi prendevano in giro. In un microsecondo sono tornato a scuola, quando deridevano la mia sessualità e io non avevo ancora scoperto di avere una sessualità. Da quel tipo di sentimento non ne esci, non cambia, suppongo sia lo stesso se avessi cinquant’anni o settantacinque. All’inizio ho cercato di ignorare la cosa, pensando che il silenzio sarebbe stata la risposta migliore. Come facevo da ragazzo: fingere di non vedere, guardare dall’altra parte. Poi ho cominciato a vedere l’indignazione del mio fan club che cresceva e cresceva, e dopo dieci ore ho capito che far finta di nulla era un privilegio che non potevo permettermi. Là fuori ci sono tanti quattordicenni o magari anche adulti che non hanno la libertà che mi sono conquistato attraverso l’arte, non hanno quella zona franca che è il palcoscenico dove tutto è permesso, anche essere se stessi senza pregiudizi, interferenze, bullismo. A loro non è concesso di guardare dall’altra parte, di ignorare quegli insulti senza pagarne le conseguenze. Dovevo trovare un modo di gestire la situazione, ho cominciato a usare quell’immagine come una bandiera, l’ho sbattuta anche sul mio profilo twitter. Ho rotto il muro di pudore e di silenzio, quel sorvolare borghese che spesso fa seguito a episodi del genere. Non ne farei un fatto politico. Un cantante è un cantante e basta. La mia dimensione pubblica è quella che mostro sul palco. Lo faccio con discrezione e gentilezza, non voglio entrare nella vita degli altri o mettere a soqquadro le famiglie, rispetto le scelte anche quando sono diametralmente opposte alle mie, anche quando propongono un modello sociale o religioso che non è il mio — una sorta di gentlemen agreement. Ma di fronte a comportamenti violenti, aggressivi o abusivi la mia reazione cambia. Mi rifiuto di farmi calpestare, non mi metto a tappetino, non lo facevo neanche alle medie quando non potevo seguire il resto della classe perché ero dislessico. La realtà è che oggi non abbiamo più tante icone gay, personaggi scomodi anche senza essere politici, senza incontrare leader e presidenti, senza fare discorsi alle Nazioni Unite. La loro forza stava in quello che scrivevano e cantavano, agivano senza pensare alle conseguenze. Il fatto di esistere era già di per sé rivoluzionario. Sono loro che hanno acceso questi colori forti dentro di me, mi hanno dato l’ardire di provocare senza aver paura. Cosa dirò al pubblico di Firenze? Nessun messaggio, nessuna polemica, parlerò attraverso la musica e l’energia dei miei fan. Faremo rumore insieme, per esprimere gioia e tolleranza. La risposta all’insulto è: siamo qui, siamo tanti, siamo forti‘.

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