28 anni di vita e non sentirli.
Non avevo mai preso parte al Torino GLBT film Festival, neanche da spettatore qualsiasi, per poi ritrovarmi senza neanche accorgermene in Giuria Lungometraggi.
L’esperienza, lo dico subito, è stata una piacevole sorpresa.
Anche dinanzi alla crisi che ha visto sforbiciare di un buon 20% il budget annuale, il Festival del cinema Gay più antico d’Europa ha calamitato frotte di spettatori, con il picco nel primo weekend e nella giornata conclusiva. Sale piene, vive, con file lunghe ed ordinate fuori la multisala all’ombra della Mole, per una manifestazione che meriterebbe un’esportazione di tipo nazionale. Come avviene con Cannes, Venezia e il TFF, che ‘portano’ alcuni dei film in cartellone a Roma e Milano, anche il Torino GLBT film Festival meriterebbe simile trattamento, in modo da ampliare il bacino di utenza ed allungare la vita cinematografica di alcuni titoli che in caso contrario non potranno mai esser recuperati dal ‘non torinese’ di turno. D’altronde di film ‘importanti’, in questa 28esima edizione, se ne son visti. Agli 11 in concorso, il sottoscritto ne ha poi aggiunti 3 fuori concorso (Any Day Now+Interior.Leather Bar+Divine), per 6 giorni di cinema glbtq che sono riusciti a smuovere risate, commozione, emozioni. A trionfare, con voto all’unanimità, è stato il crudo, coraggioso, silenzioso ma straordinario Boven is het Stil,su cui tutti noi giurati siamo andati sul sicuro. Appena visto ce ne siamo innamorati.
Solo alla fine, con l’ultimissima proiezione di Will you Still Love me Tomorrow? sono nati alcuni ‘dubbi’. Ma flebili e tutt’altro che concreti, per smuovere il trionfo del titolo olandese. Perché la deliziosa commedia taiwanese ha sbalordito, per quanto solo apparentemente leggera ma in realtà straordinariamente ‘pregna’ di significato, meritandosi automaticamente la menzione speciale. Ci fosse stata la possibilità di premiare anche ‘altri’ titoli, il qui presente si sarebbe fatto in quattro per lo splendido, romantico, poetico e coreografato Five Dances, mentre W Imie, tedesco premiato a Berlino con il Teddy Award, ha confermato la vivacità del cinema gay ‘made in Germany’, trattando un tema mai così attuale come quello dei preti omosessuali (e NON pedofili).
Se l’israeliano (interessante ma imperfettto) Alata ha fatto suo il premio del pubblico, si è fatto vedere con piacere anche lo spagnolo El sexo de Los Angeles, grazie anche ai due bonazzi protagonisti, mentre a far sua la MIA palma di PEGGIOR titolo del Festival è stato l’insostenibile Todo mundo tiene a Alguien menos Yo, film lesbo messicano in bianco e nero da denuncia al regista per scippo immotivato di 100 minuti d’esistenza. Volevo morì. Sbarcato a Torino senza conoscere un’anima che una, devo ringraziare i tanti ragazzi e le tante ragazze dell’organizzazione che hanno fatto in modo di rendere il più piacevole e impeccabile possibile il mio soggiorno. Carini, gentili, sorridenti, piacevoli. Tutti e tutte. Ci hanno seguito, sostenuto, accompagnato. Abbiamo chiacchierato, discusso, riso, divorato cioccolatini e aperitivato con tutti loro, contribuendo di fatto a creare un’atmosfera di serenità e amore per il cinema che ha poi trascinato l’intera giuria. E che giuria. Qui devo infatti spendere due parole sui compagni di viaggio (ben più famosi e quotati del sottoscritto) che mi son ritrovato al fianco.