La forza, l’importanza, il coraggio e il ritardo di un coming out

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Chiunque legga Spetteguless da tempo, conosce l’importanza che il sottoscritto attribuisce al coming out.
Alla propria accettazione pubblica e al proprio ‘aprirsi’, tanto in famiglia quanto tra gli amici.
Proprio su queste pagine ho più volte parlato del mio coming out, distante ormai 10 anni, e della paura di non essere ‘capito’, se non addirittura ‘accettato’, dalle persone che amavo.
Una paura subito dissolta, nell’esatto momento in cui confessai a mia madre una verità che da troppo tempo tacevo, prima che a lei a me stesso.
Per questo mi sono ritrovato nelle parole di un lettore, che ha voluto ‘descrivere’ il proprio tardivo coming out attraverso una lettera, che potrete leggere dopo il saltino.
Una confessione sincera, e al tempo stesso amara, perché esplicita nel sottolineare gli anni ‘persi’, in quanto travolti dal terrore di ricevere chissà quale terribile reazione alla propria omosessualità. Perché sarà anche vero che c’è situazione e situazione, ed è oggettivamente stupido fingere che non sia così, ma fare coming out, da che mondo e mondo, equivale a rinascere, e ad iniziare di fatto a vivere una nuova vita. Quella reale.

Carissimo,

Sono un tuo affezionatissimo lettore e oggi ho deciso di scriverti, sapendo che hai un grosso bacino
di lettori. Purtroppo voglio mantenere anonima la mia identità per non creare problemi per le
persone che citerò nella suddetta lettera anche se ciò all’inizio possa sembrare non coerente.

Sono qui a raccontare la mia storia: essere finalmente il protagonista della mia vita da ventitreenne.
Oltre a questo piccolo dettaglio, voglio far sapere fin da subito che sono un ragazzo gay.
Fino ad adesso ho sentito spesso la frase lo faccio per aiutare gli altri che si trovano nella mia
stessa situazione ed eccomi qui; stavolta sono io a dire queste fatidiche parole.
Sono un semplice ragazzo, siciliano, attualmente studio Scienze Politiche e non so assolutamente se
dopo avrò un lavoro; insomma, per certi aspetti non mi distinguo dalla massa ma, purtroppo o per
fortuna, mi distinguo per altri; pardon, mi distinguono.

Fin da piccolo ho sempre saputo che c’era qualcosa di diverso in me che mi differenziava con il
mio amico Marco con cui giocavo a pallone. Qualcosa di pesante. Qualcosa di cui non andavo fiero.
Qualcosa che mi faceva star male.
Il tempo passava anche per me; ormai non giocavo più a pallone. Era tempo di studiare seriamente,
finalmente arrivo alle scuole medie. Mi ritenevo un ometto, proprio come diceva mia madre.
Improvvisamente quel dubbio che avevo attentamente seppellito emerse inevitabilmente. Dicevo di
essere sbagliato. Ero un problema. Ma continuavo a seppellirlo, causando in me danni sia fisici che
psicologici.
Un giorno, un maledetto giorno, successe qualcosa di irreparabile: un gruppo di ragazzi e ragazze,
non mi ricordo nemmeno quanti erano, si misero a deridermi e con estrema potenza e insensibilità
(tipica dei dodicenni) gridarono: tu, tu sei un frocio, frocio, frocio. Mi cadde il mondo addosso:
oltre ad accettare il fatto di essere diverso, dovevo accettare il fatto che nessuno mi avrebbe capito.
Mi feci una promessa: nessuno lo deve sapere. Lo ripetevo in continuazione.
Arrivai alla fase critica: l’adolescenza. Ormai avevo preso coraggio, mi dicevo di essere forte ma
continuavo a non accettarmi. Quella promessa non doveva mai essere infranta.
Ho avuto tantissimi amici che all’epoca consideravo fratelli o sorelle, insomma sappiamo tutti come
funziona quel periodo. Il problema si pose quando tutti si fidanzavano o avevano le proprie storie.
Io per non destare sospetti mi costrinsi ad innamorarmi di una ragazza, follemente pazza per me.
Sono stati 3 anni. 3 anni d’inferno. Il perché si può intuire da solo.
Finalmente arrivo all’università. Finalmente avevo abbandonato quel piccolo paesino bigotto
dove abitavo. Conobbi altra gente, altre opinioni, altri modi diversi di vivere. Conobbi stranieri e
immigrati che mi aprirono la mente, fino ad allora tristemente condizionata. E ovviamente conobbi
altre persone come me. Non ero da solo. C’era però una piccola differenza: loro avevano avuto
il coraggio di non nascondere nulla; avevano avuto il coraggio di dire chi erano veramente. Io li
ammiravo, erano i miei nuovi idoli. Io ovviamente continuavo a non infrangere la mia regola.
Perché a me mancava il coraggio? Perché non potevo essere padrone della mia vita? Mille domande
a cui non sapevo rispondere. Era la paura che bloccava qualsiasi processo di affermazione della mia
vera sessualità. Paura di non essere accettato, di essere isolato.

Faccio parte della tipica famiglia italiana: entrambi lavorano, entrambi cristiani e credenti, entrambi
fermi nei loro vecchi valori, entrambi contro l’omosessualità. Per causa loro, fin da piccolo ho
avuto la visione dei gay come persone cattive, persone che sono una minaccia per la pace ( cit.)
ma poi mi chiedevo: ma ti rendi conto che forse sei gay pure tu? Insomma, non riuscivo ad andare
d’accordo con me stesso.

Si dice che ci sono degli incontri che ti cambiano la vita. Posso confermare. Fortunatamente
all’università conobbi lei. L’amica che non ti cambierebbe per nessuno al mondo e che soprattutto
aveva capito tutto. Lei attuò una strategia vincente: giorno dopo giorno cercava di scavare in me.
Di farmi ragione, di accettare ciò che ero. Ci sono voluti due anni prima che le dicessi sì, sono
gay pure io. Quando dissi quella frase eravamo seduti in un bar e guardavamo le nostre tazzine
ormai sporcate dal caffè. Mi liberai. Era come se avessi tenuto per 23 anni un paio di scarpe che
stringevano i miei piedi talmente forte che poi quando li togli provi una sensazione che vorresti
ricordare per sempre. Non mantenni la promessa ma ne andai fiero. Da quel momento in poi lo dissi
alle persone a me più care; la paura ovviamente era tanta ma mi presi di coraggio. Mi stupirono le
tante risposte: che mi interessa? Eh, dovrebbe essere una novità? Ah, dovrei essere stupito? Tanto
ti voglio bene comunque! Più o meno ciò che sentivo erano queste frasi e mi resi conti di quanto
stupido io sia stato. Di aver avuto una paura insensata.

Mi sono innamorato finalmente. È amore vero. Se ne possono dire di tutti i colori, ma ciò che sto
provando in questo momento è Amore. Pazienza per chi dice che non sia vero.
Il problema si poneva ancora per loro, i miei genitori. Come glielo dico? Come faccio? Cosa
faccio? Insomma, ancora non era finita. Purtroppo non ho mai avuto il coraggio di guardare loro
negli occhi e dire che il loro figlio è diverso, secondo la loro concezione. Sono stato aiutato.
Mia sorella e persone a me carissime hanno fatto da tramite. Vivevo una situazione pesante.
Provavo paura, odio, ira, disprezzo non verso loro ma verso di me. Ancora quel bambino era vivo.
Continuavo a non volerlo dire per la solita e stupida paura.
L’hanno saputo? E che hanno detto? Come hanno reagito? Il grande giorno era arrivato. Ricevetti
una chiamata. Sul cellulare spuntò mamma. Risposi e il mio cuore batteva a mille.

Ho saputo e devi stare tranquillo. Per me e tuo padre è stato come uno schiaffo ma ce ne
faremo una ragione. Se tu sei felice, lo saremo pure noi. Sei nostro figlio. Non mi pentirò mai di
averti messo al mondo.

Non so quanto ho pianto. Stavolta la liberazione era piena. Quelle scarpe erano sparite per sempre.
Ora mi sento libero. Quelle persone che per anni avevo dipinto come insensibili, crudeli, spietati e
pronti a tutti si sono rivelate diverse da ciò che ho sempre pensato.

Chiunque legga questa lettera e si riconosce in essa, cerchi di non fare il mio stesso errore. Non
arrivate a 23 anni e sentirvi ancora un bambino impaurito. Purtroppo non viviamo in una realtà
facile ma solo avendo il coraggio di dire ciò che si è possiamo essere considerate persone normali.

Un tuo lettore.

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