Raoul Bova su Vanity Fair: le coppie gay NON sono coppie di Serie B

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Lo scorso anno si rifiutò di girare uno spot per l’EuroPride romano, suscitando non poche polemiche e non poco clamore.
Questa settimana, a sorpresa, Raoul Bova tenta la ‘redenzione’ su Vanity Fair, in un numero ancora più gayo del solito, parlando apertamente di omosessualità. Il settimanale lancia infatti la lettera/appello alla Ministra Elsa Fornero, da me qui pubblicata, sbandierando proprio Bova come portabandiera di un’Italia che chiede UGUALI diritti per tutti, omo o etero che siano. Queste alcune risposte dell’attore, a quanto pare incapace di capire che il coming out è fondamentale ORA per fare in modo che sia totalmente inutile in FUTURO, con il RESTO dell’intervista ovviamente in edicola, a partire da domani.

Quando ha scoperto che esisteva l’omosessualità?
Intorno ai sedici anni, quando mi accorsi che il mio migliore amico era innamorato di un ragazzo, mentre a me interessavano le ragazze. Non cambiò nulla nella mia amicizia per lui e nel bene che gli volevo: troppe le cose che avevamo in comune perché quell’unica differenza avesse importanza”.

Come fa un classico ragazzo italiano a liberarsi dei pregiudizi sull’omosessualità?
«Nel mio caso, mi hanno aiutato molto i viaggi all’estero e la conoscenza di persone che venivano da culture meno conservatrici e machiste della nostra. Ma sono serviti anche le letture e il cinema. E non mi riferisco solo a film che raccontano storie gay, come quelli di Almodóvar. Mi riferisco a qualunque film ti faccia riflettere sulla necessità di permettere a tutti di integrarsi e avere gli stessi diritti. Qualunque film sugli ebrei, gli afroamericani, i diversamente abili. Non è questione di gusti sessuali diversi dai miei, è questione di fratellanza universale e cristiana. Gesù considerava suoi figli anche gli assassini, come si fa a non rispettare un fratello essere umano semplicemente perché è omosessuale?».

Quando un personaggio famoso fa coming out, che cosa pensa?
«Penso che, se ancora c’è chi sente il bisogno di gridarlo al mondo, vuol dire che l’uguaglianza è lontana. Io non mi presento dicendo: “Piacere, sono Raoul Bova, eterosessuale”».

A proposito, lei lo interpreterebbe un gay al cinema?
«Certo. Non è mai capitata la sceneggiatura giusta, ma se arrivasse, perché no?».

E se uno dei suoi figli, tra qualche anno, venisse a dirle: «Papà, sono gay»?
«Penserei che se ha deciso di parlarne con me, di concedermi la sua fiducia su un aspetto così intimo della sua vita, è segno che, come padre, ho fatto un buon lavoro».

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