Sanctum 3D
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 11 febbraio
Postata DA ME anche qui
Prodotto da James Cameron, ‘Re del Mondo’ e padre dei due film che più hanno incassato nella storia del cinema, Titanic e Avatar, Sanctum 3D si presentava agli spettatori americani con un sontuoso biglietto da visita, che è stato però semplicemente rispedito al mittente. Costato ’solo’ 30 milioni di dollari, il film ne ha incassati meno di 10 al primo weekend di programmazione, ottenendo critiche distruttive. E purtroppo motivate, perché di Cameron qui non c’è nulla se non il libretto degli assegni e il celebre Cameron/Pace Fusion 3D Camera System, ideato dallo stesso regista per girare Avatar.
Tralasciando il 3D, sicuramente più ‘presente’ rispetto all’80% dei film in terza dimensione visti fino ad oggi in sala, la pellicola non è altro che una costosa prova girata per testare il 3D subacqueo, molto probabilmente presente nei due annunciati sequel di Avatar, considerando l’inconsistenza a tratti agghiacciante della sceneggiatura, partorita da John Garvin e Andrew Wight. Lungo, priva di pathos, scontato e a tratti comico, Sanctum 3D ci fa immergere per oltre un’ora nelle gelide acque dell’oceano, imbarcando acqua e affondando come l’indimenticato Titanic di papà James.
Frank McGuire è il Re dei sommozzatori. Burbero, scontroso, autoritario e instancabile, si è immerso in ogni buco presente sulla faccia della terra, fino a trovarne il centro nelle grotte subacquee di Esa-Ala nel Pacifico meridionali. Qui, a causa di una tempesta tropicale e in compagnia del figlio diciassettenne, del finanziatore della missione e della sua fidanzata, è costretto ad incunearsi nella caverna sottomarina più insidiosa, inesplorata e meno accessibile al mondo, per riuscire a salvarsi, prima che l’acqua diventi una tomba per tutti loro.
Un padre e un figlio che apparentemente si odiano, semplicemente perché non si conoscono, uniti dal dolore della madre/moglie morta e divisi da una passione, quella per la speleologia, che uno, il padre, vive come ragione di vita, e l’altro, il figlio detesta profondamente. Raschiando il fondo del barile John Garvin e Andrew Wight non si sono sprecati più di tanto per costruire le basi della loro storia. Nessuna ‘tresca amorosa’, come Cameron insegna, ma un sano rapporto famigliare da ritrovare e ricostruire, facendo ovviamente leva sulle difficoltà e gli imprevisti che la vita ci pone davanti senza nessun tipo di preavviso. Ad incorniciare la già pericolosamente fragile situazione uno script sinceramente fastidioso, nell’essere infarcito di dialoghi a tratti imbarazzanti. Se l’intenzione di Alister Grierson, regista australiano del piccolo ‘cult’ Kokoda, era quella di dar vita ad un thriller, il timone deve essergli decisamente scappato di mano, perché troppo spesso con Sanctum 3D si ride, e di gusto anche, a causa di battute talmente forzate, surreali e inutilmente spaccone da far sciogliere anche quel briciolo di tensione che faticosamente si era riuscita a raggiungere.
Per colpa di personaggi letteralmente odiosi è infatti praticamente impossibile immedesimarsi o anche solo appassionarsi alla vicenda raccontata. Tutti i protagonisti sono ‘disegnati’ in maniera scellerata, dal padre forzatamente saggio ed imbattibile che decanta poesie in latino mentre si immerge, al figlio isterico che in 5 minuti si trasforma in Cliffhanger, per non parlare del finanziatore ‘pazzo’ e della sua fidanzata, letteralmente ‘appesa’ ad un capello nella sua inutile figura. Sottolineata l’indubbia ‘prova di forza’ registica nel girare in ambienti così angusti e per di più ‘bagnati’, ciò che ne rimane è ovviamente il 3D, sperimentato sott’acqua per la prima volta. Paradossalmente la profondità e “l’effetto terza dimensione” si evidenziano in superficie, alla luce del giorno, nei primi minuti di pellicola. Con il passare delle scene, e scendendo sempre più giù, tra grotte e acqua, il risultato sembra svanire, o per lo meno ridursi, facendo suonare più di qualche campanello d’allarme in casa Cameron, visto l’interesse a spostare parte dell’azione di Avatar 2 e 3 proprio sott’acqua.
Detto che la differenza tra un film girato in 3D ed uno riconvertito in post produzione finalmente si nota, il risultato sicuramente non entusiasma a tal punto da tappare i tanti difetti di cui la pellicola è maledettamente farcita, tanto da non riuscire a trovare neanche un proprio genere di riferimento, tra gratuiti momenti di sadismo pure e altri più ‘documentaristici’, finendo per fondere ‘demenziale’ e pseudo ‘thriller’, in maniera purtroppo del tutto involontaria.
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 11 febbraio
Postata DA ME anche qui
Prodotto da James Cameron, ‘Re del Mondo’ e padre dei due film che più hanno incassato nella storia del cinema, Titanic e Avatar, Sanctum 3D si presentava agli spettatori americani con un sontuoso biglietto da visita, che è stato però semplicemente rispedito al mittente. Costato ’solo’ 30 milioni di dollari, il film ne ha incassati meno di 10 al primo weekend di programmazione, ottenendo critiche distruttive. E purtroppo motivate, perché di Cameron qui non c’è nulla se non il libretto degli assegni e il celebre Cameron/Pace Fusion 3D Camera System, ideato dallo stesso regista per girare Avatar.
Tralasciando il 3D, sicuramente più ‘presente’ rispetto all’80% dei film in terza dimensione visti fino ad oggi in sala, la pellicola non è altro che una costosa prova girata per testare il 3D subacqueo, molto probabilmente presente nei due annunciati sequel di Avatar, considerando l’inconsistenza a tratti agghiacciante della sceneggiatura, partorita da John Garvin e Andrew Wight. Lungo, priva di pathos, scontato e a tratti comico, Sanctum 3D ci fa immergere per oltre un’ora nelle gelide acque dell’oceano, imbarcando acqua e affondando come l’indimenticato Titanic di papà James.
Frank McGuire è il Re dei sommozzatori. Burbero, scontroso, autoritario e instancabile, si è immerso in ogni buco presente sulla faccia della terra, fino a trovarne il centro nelle grotte subacquee di Esa-Ala nel Pacifico meridionali. Qui, a causa di una tempesta tropicale e in compagnia del figlio diciassettenne, del finanziatore della missione e della sua fidanzata, è costretto ad incunearsi nella caverna sottomarina più insidiosa, inesplorata e meno accessibile al mondo, per riuscire a salvarsi, prima che l’acqua diventi una tomba per tutti loro.
Un padre e un figlio che apparentemente si odiano, semplicemente perché non si conoscono, uniti dal dolore della madre/moglie morta e divisi da una passione, quella per la speleologia, che uno, il padre, vive come ragione di vita, e l’altro, il figlio detesta profondamente. Raschiando il fondo del barile John Garvin e Andrew Wight non si sono sprecati più di tanto per costruire le basi della loro storia. Nessuna ‘tresca amorosa’, come Cameron insegna, ma un sano rapporto famigliare da ritrovare e ricostruire, facendo ovviamente leva sulle difficoltà e gli imprevisti che la vita ci pone davanti senza nessun tipo di preavviso. Ad incorniciare la già pericolosamente fragile situazione uno script sinceramente fastidioso, nell’essere infarcito di dialoghi a tratti imbarazzanti. Se l’intenzione di Alister Grierson, regista australiano del piccolo ‘cult’ Kokoda, era quella di dar vita ad un thriller, il timone deve essergli decisamente scappato di mano, perché troppo spesso con Sanctum 3D si ride, e di gusto anche, a causa di battute talmente forzate, surreali e inutilmente spaccone da far sciogliere anche quel briciolo di tensione che faticosamente si era riuscita a raggiungere.
Per colpa di personaggi letteralmente odiosi è infatti praticamente impossibile immedesimarsi o anche solo appassionarsi alla vicenda raccontata. Tutti i protagonisti sono ‘disegnati’ in maniera scellerata, dal padre forzatamente saggio ed imbattibile che decanta poesie in latino mentre si immerge, al figlio isterico che in 5 minuti si trasforma in Cliffhanger, per non parlare del finanziatore ‘pazzo’ e della sua fidanzata, letteralmente ‘appesa’ ad un capello nella sua inutile figura. Sottolineata l’indubbia ‘prova di forza’ registica nel girare in ambienti così angusti e per di più ‘bagnati’, ciò che ne rimane è ovviamente il 3D, sperimentato sott’acqua per la prima volta. Paradossalmente la profondità e “l’effetto terza dimensione” si evidenziano in superficie, alla luce del giorno, nei primi minuti di pellicola. Con il passare delle scene, e scendendo sempre più giù, tra grotte e acqua, il risultato sembra svanire, o per lo meno ridursi, facendo suonare più di qualche campanello d’allarme in casa Cameron, visto l’interesse a spostare parte dell’azione di Avatar 2 e 3 proprio sott’acqua.
Detto che la differenza tra un film girato in 3D ed uno riconvertito in post produzione finalmente si nota, il risultato sicuramente non entusiasma a tal punto da tappare i tanti difetti di cui la pellicola è maledettamente farcita, tanto da non riuscire a trovare neanche un proprio genere di riferimento, tra gratuiti momenti di sadismo pure e altri più ‘documentaristici’, finendo per fondere ‘demenziale’ e pseudo ‘thriller’, in maniera purtroppo del tutto involontaria.
Voto: 4