Che bella giornata
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 5 gennaio
Il vero fenomeno cinematografico italiano del 2009 è stato lui, con Cado dalle Nubi. 14.073.000 euro incassati, per un esordio che ha riportato i cinema nostrani ai tempi di Tre uomini e una Gamba, quando tre comici in arrivo dalla tv sbancarono il botteghino e conquistarono la critica. Checco Zalone non ha nulla di Aldo, Giovanni e Giacomo, se non le origini televisive. Il boom del comico pugliese è a tratti inspiegabile. La sua comicità non è becera come quella dei cinepanettoni ma orgogliosamente ‘ignorante’, non ha neanche lontanamente la genialità di Benigni, l’eccezzziunalità terrunciella di Abatantuono, anche se neanche troppo velatamente prova a ricalcarla, o la teatralità del primo irresistibile Salemme, l’occhio antropologico di un Verdone d’altri tempi o l’intelligenza esilarante di un Francesco Nuti. Ma è amato, ha trascinato in sala milioni di italiani con il suo esordio cinematografico e ora si appresta a ripetere il bis con questo atteso ritorno, intitolato Che bella giornata, a dir poco complesso perché chiamato ad una difficile se non impossibile conferma.
Tornando semplicemente ad interpretare il ’se stesso televisivo’, ovvero il personaggio che l’ha reso celebre, Luca Medici, in arte Checco Zalone, continua così a raccontare l’Italia sgangherata che tanto amiamo e al tempo stesso odiamo. L’Italia in cui non esiste meritocrazia, in cui non contano le ‘capacità’ bensì la quantità e la qualità delle raccomandazioni, condendo il tutto con un tocco di ostentata ed eccessiva ignoranza, sbiascicata attraverso un pugliese che torna così in auge dopo un calo d’interesse nei confronti di Sergio Rubini. Osando, a tratti, il comico fa centro, abbandonando la strada del ‘politically correct’, dando però la sensazione di non essere ancora pronto per il cinema, a causa di uno script a tratti eccessivamente lento e forzatamente surreale.
Checco Zalone con Che Bella Giornata continua a volare basso, senza concedersi un tipo di comicità, e soprattutto di cinema, che non gli appartiene. Consapevole delle proprie ‘capacità’ comiche, l’attore costruisce una storia semplice, ovviamente disegnata su di lui e sulle sue possibili gag. Dimenticati gli ’stacchi’ musicali del primo film, Zalone va ad interpretare un addetto alla sicurezza del Duomo di Milano. Appartenente ad un’ “inserita” famiglia pugliese, riesce a far suo un ambito posto di lavoro ‘bagnato’ dalla benedizione del Cardinale Rosselli. Autentico disastro umano, ignorante fino al midollo e incapace di eseguire dei semplicissimi ordini, Checco finisce così per diventare una vera e propria ‘minaccia’ per il patrimonio artistico nazionale, grazie anche a Farah, giovane musulmana assetata di vendetta nei confronti del nostro paese che proverà ad entrare nelle sue grazie, finendo per farlo innamorare.
Scritto dallo stesso Checco Zalone in coppia fissa con l’autore dei suoi testi Gennaro Nunziante, che torna nelle mediocri vesti di regista dopo l’esordio di Cado dalle nubi, Che bella giornata conferma la cercata ed ostentata ‘mediocrità’ del cinema del comico televisivo. Dopo aver raccontato un ‘certo’ tipo di Italia con il film d’esordio, Zalone ripete ovviamente il tutto anche con questo secondo lungometraggio, prendendo di mira addirittura l’Islam e l’impalcatura cattolica, fatta di potere ed inciuci, perché siamo sempre in Italia, ‘magnifico paese dove studiare non serve a nulla’.
Inizialmente lento, quasi noioso, e decisamente poco divertente, il film finalmente decolla quando da Milano si scende in Puglia. Qui, tra i trulli di Alberobello, troneggia uno strabordante Rocco Papaleo, con una deliziosa comparsata musicale di Michele Salvemini, in arte Caparezza, chiamato a cantare durante un battesimo… Sarà perché ti Amo e Non Amarmi! Tralasciando la goffagine del protagonista, autentico Mr. Bean nostrano dotato di parola, Che bella giornata ha il merito di ‘osare’ e di prendersi decisamente poco sul serio, soprattutto attraverso un finale demenziale in cui a finire nel tritacarne dello sfottò è addirittura Papa Benedetto, senza dimenticare una ‘particolare’ spiegazione del perché i nostri militari siano andati in Afghanistan. Dimenticata la prima parte, con la seconda si ride, e anche di gusto, evitando tra l’altro con coraggio uno scontato ‘happy end’ romantico alla Pieraccioni.
Prendendosi gioco di tutto e tutti, tanto a destra quanto a sinistra, con annesse ‘intoccabili ‘religioni, Zalone volteggia così sul tipico populismo nostrano, impreziosendo il tutto con due canzoni, come sempre da lui scritte, musicate e cantate, continuando così a cavalcare quell’imperante ignoranza, frutto di quella stessa tv che l’ha reso celebre, esplosa in Italia negli ultimi anni, attraverso un film che nulla aggiunge alla comicità nostrana, se non un nuovo personaggio, talmente consapevole dei propri limiti, e indirettamente della propria forza, da costruirci una carriera cinematografica che, statene certi, non si fermerà qui.
Voto: 5,5