Recensione in Anteprima
Uscita in sala: 1° ottobre
Due anni dopo Zohan e 3 anni dopo Io Vi dichiaro Marito e … Marito!, Dennis Dugan e Adam Sandler tornano ad incontrarsi con questo Grown Ups, commedia infarcita di attori comici di primissimo livello riuscita a sbancare i box office di mezzo mondo, tanto da incassare ben 250 milioni di dollari, 160 dei quali provenienti dagli States. Peccato che il film, diventato Un weekend da Bamboccioni per il mercato italiano, sia sinceramente di una bruttezza imbarazzante. Trascinato da una storia semplicemente senza senso, Grown Ups non è irriverente, non è eccessivamente sboccato e soprattutto non fa ridere.
Con un parco comico di prima grandezza, Dugan e Sandler, qui in veste anche di sceneggiatore, sono riusciti a dar vita a 100 minuti di bassissima comicità, finendo per rendere inutile una bellezza mozzafiato come Salma Hayek, per non parlare di una comparsata di Steve Buscemi da brividi, per quanto ridicola e gratuita. Come siano potuti arrivare tanti soldi dal botteghino? Questa è purtroppo l’unica domanda che ci si pone una volta usciti dalla sala…
Era dai tempi di Wild Hogs, qui in Italia arrivato con il titolo Svalvolati on The Road, che non si ripeteva un così clamoroso e immeritato successo al botteghino per una commedia americana dal ricco e variegato cast. Dinanzi ad attori del calibro di Adam Sandler, Kevin James, Chris Rock, Rob Schneider, Salma Hayek e Steve Buscemi, d’altronde, ci sarebbe solo che da togliersi il cappello e mettersi comodi in poltrona, aspettando l’arrivo di quattro grosse, grasse risate. Non riuscirci sembrerebbe difficile, se non impossibile. Ebbene Dennis Dugan, regista della pellicola, ci si è decisamente impegnato a dovere, riuscendoci appieno. Solo la storia, d’altronde, non ha senso.
Un gruppo di 12enni vince un campionato di basket locale, in un camping estivo. Affiatati e amici per la pelle, i cinque imparano una lezione per la vita, insegnata loro dal saggio allenatore. “Ragazzi miei, imparate a non avere rimpianti quando suonerà per voi l’ultimo campanello della vostra partita“. 30 anni dopo, la morte del vecchio coach, che da allora praticamente nessuno aveva più visto, li riunisce un’altra volta. Finito il funerale, i cinque decidono di eseguire le volontà dell’uomo, spargendo le ceneri del vecchio mentore nel lago d’infanzia, dove 30 anni prima, in quell’indimenticabile estate, avevano vinto quella benedetta partita, ricordata da tutti gli abitanti del posto neanche fosse stata una finale NBA. Qui, con mogli e figli, i cinque amici torneranno ad essere gli immaturi di una volta, in un lungo e divertente weekend del 4 luglio, tra ricordi del passato che riaffiorano e verità del presente mai dette e finalmente pronte ad essere svelate…
Ritrarre una generazione di ‘bamboccioni’, cresciuti fisicamente ma mentalmente sempre rimasti adolescenti. Metterli davanti uno specchio che li aiuti a guardarsi indietro e possibilmente a guardare avanti, cercando di non ripetere gli errori di una volta. Da decenni il cinema, hollywoodiano e non, porta in sala un tema simile. Basti pensare al verdoniano Compagni di Scuola, gioiello di una carriera ormai trentennale, o all’inarrivabile Grande Freddo di Lawrence Kasdan, capolavoro di scrittura. Titoli da dimenticare dinanzi a questo Un weekend da Bamboccioni, talmente insipido e maledettamente superficiale da risultare fastidioso. Dai personaggi, caratterialmente praticamente inesistenti, allo script, surreale, assurdo, retorico e incredibilmente poco divertente, fino agli attori, tutti sotto le proprie possibilità, con un Sandler ingrassatissimo che si fa notare solo ed esclusivamente per la bravura sotto canestro, un Rock con il freno a mano tirato e un Rob Schneider schifosamente sprecato, Un weekend da Bamboccioni è sinceramente impresentabile.
Dennis Dugan non fa nulla per dare brio al film, perdendosi addirittura in una serie di ‘torte in faccia’, di panna o di fango, che ci riportano indietro di 80 anni, ovvero al cinema muto di Stanlio e Olio, da alternare a rumorose ’scuregge’ affidate all’anziana di turno. Nemmeno l’acceleratore dell’irriverenza, o della volgarità, viene mai veramente premuto, finendo per costruire una serie di gag palesemente slegate tra di loro e soprattutto forzate. Se l’intero cast femminile viene lasciato alla deriva, anche la controparte maschile fa acqua da tutte le parti, con un Kevin James probabilmente meno inutile di tutti gli altri ma incapace di risollevare una barca che affonda minuto dopo minuto, fino a raschiare il fondo.
Voto: 3