The Karate Kid: La Leggenda Continua – Recensione in Anteprima

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The Karate Kid: La Leggenda Continua
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 3 settembre
Postata DA ME anche qui

26 anni dopo il cult movie di John G. Avildsen, il leggendario Karate Kid torna in sala attraverso un vero e proprio restyling. Un remake rischioso e contestato dai fan della pellicola ancor prima della sua uscita nei cinema americani, a sorpresa presi incredibilmente d’assalto settimana dopo settimana, tanto da trasformarlo in un impensabile successo. Sostituire Ralph Macchio, nei panni di Daniel Larusso, e soprattutto Pat Morita, morto nel 2005 e nel 1984 candidato all’Oscar per la sua storica interpretazione di Mr. Kesuke Miyagi, pareva un’impresa impossibile.

Per riuscirci Will Smith e sua moglie, produttori della pellicola, si sono affidati al loro figlio, ovvero lo spocchioso, quasi fastidioso ma decisamente talentuoso Jaden Smith, e ad un mito delle arti marziali in sala, ovvero un invecchiato e sciancato Jackie Chan. Partendo dal paradosso del titolo, visto che al centro della trama non c’è il karate bensì il kung-fu, The Karate Kid: La Leggenda Continua finisce comunque per stupire, trascinando e convincendo anche chi, come il sottoscritto, ha visto la storica trilogia originale almeno una ventina di volte.

“Metti la cera, togli la cera“. Tra le frasi cult cinematografiche degli anni 80 questa è forse una delle più ripetute, amate e celebri. Karate Kid 1, 2 e 3, tutti diretti da John G. Avildsen, hanno dato vita ad una saga il cui fascino ancora oggi resiste nel tempo. Per questo la scommessa della Columbia, degli Smith in veste di produttori e del regista Harald Zwart era complicatissima. Ridare vita ad un franchise partendo da un remake era un pericoloso azzardo, stravinto però al botteghino. Costato una quarantina di milioni di dollari, il film ne ha già incassati 282 in tutto il mondo, tanto da ufficializzare un ovvio e scontato capitolo due.

Per cercare di ridare lustro al fascino dell’originale, Zwart e Christopher Murphey, sceneggiatore, l’hanno rielaborato ed aggiornato, citandolo ed omaggiandolo. Murphey, diplomatosi all’Harvard College in letteratura inglese e cinese, e con tre anni di studio alla lingua cinese alle spalle, è stato poi fondamentale per ‘entrare’ nella millenaria cultura della Cina, set principale dove si svolge l’intera trama. Spaziando tra la Porta di Tiananmen, la Città Proibita, che non veniva aperta ad una troupe dai tempi de l’Ultimo Imperatore di Bertolucci, la Grande Muraglia, il Monte Wudang e lo Qi Xi Festival, Harald Zwart ci porta per mano nell’affascinante e complessa cultura cinese, arrivando addirittura a ‘mostrarci’ le origini del kung fu, riuscendo perfettamente a rendere l’idea del ‘nuovo mondo’ scoperto dal piccolo Dre Parker, catapultato da Detroit a Pechino a causa della madre, trasferita dalla sua azienda automobilistica.

Qui, senza amici, con una nuova lingua da imparare e una città da scoprire in tutto il suo secolare fascino, Dre si troverà a dover affrontare i piccoli bulli della scuola, suoi ‘nemici’ perché infastiditi dal rapporto d’amicizia nato con la bella e talentuosa Mei Yin, giovane violinista dalla ricca famiglia. Quotidianamente deriso e picchiato, Dre verrà aiutato a rialzarsi da Mr. Han, silenzioso e solitario responsabile della manutenzione del suo palazzo, in realtà straordinario maestro di Kung-Fu. Seguendo passo passo il suo saggio mentore, il piccolo Dre acquisirà forza e fiducia in se stesso, fino allo scontro finale con la sua più grande paura, da affrontare sul tappeto di un torneo…

12 anni compiuti il mese scorso, zero ore di scuola di recitazione alle spalle, probabilmente zero provini ed un cognome potente e pesantissimo sulla propria carta d’identità. Tutto, in questo nuovo Karate Kid, ruota attorno a Jaden Smith, figlio di Jada Pinkett Smith e Will Smith. Scoperto al cinema nel 2006 dal nostro Gabriele Muccino con La ricerca della felicità, al fianco di papà Will, Jaden ha poi affiancato Keanu Revees nel 2008 con il pessimo Ultimatum alla Terra, fino all’exploit di quest’ultima pellicola. Apparentemente ‘montato’, estremamente fortunato, perchè aiutato dalla parentela che ha indubbiamente contribuito alla sua fortuna cinematografica, spocchioso e a tratti quasi insopportabile per quanto sicuro di sè, Jaden Smith è comunque indubbiamente un talento nato.

Il suo Dre, 12 enne trascinato in Cina dalla madre, sdradicato dalla sua Detroit e ripiantato in una terra lontana anni luce dalle sue abitudini, convince. Espressivo e fisicamente ‘allenato’, Jaden Smith stupisce scena dopo scena, riuscendo ad alternare con sapienza i vari e spesso forzati e retorici conflitti interiori che coinvolgono il suo personaggio, tanto da renderlo credibile. Vero ‘gigante’ ed autentico protagonista della pellicola, Jaden finisce così per fare ombra ad un inedito ma convincente Jackie Chan. Evitando l’imitazione dell’inarrivabile Pat Morita, Chan finisce per portare sulle proprie spalle con forza e dignità un personaggio afflitto da un drammatico passato che non vuole farsi dimenticare, tanto da appoggiarsi al piccolo Dre per riuscire ad uscirne fuori. Insieme, entrambi, riusciranno a sconfiggere le proprie paure. Immancabili, purtroppo o per fortuna, le ‘faccette’ che hanno fatto Jackie Chan un maestro della “Kung-Fu Comedy”, da insegnare in questo caso a Smith Jr.

Rileggendo le scene cult che hanno reso immortale il film originale (dimenticate “togli la cera, metti la cera“, comunque degnamente sostituita e in un breve momento omaggiata) Harald Zwart costruisce una pellicola che ha una sua fluidità logica, tanto da rendersi interessante ed appassionante con il passare dei minuti, anche se dilungandosi eccessivamente, visto che 140 minuti sono obiettivamente troppi. Dimenticando il Karate dell’originale per affidarsi al Kung-Fu, il film compie una scelta più singolare, discutibile e forse contestabile, riuscendo comunque a regalare allo spettatore un torneo finale all’altezza del primo capitolo del 1984.

Abbassando drasticamente l’età del protagonista, la pellicola assume un taglio volutamente più adolescenziale (troppo?), con conflitti e bisogni interiori differenti rispetto a quelli del film originale, scendendo spesso nel patetico. A volte estremamente retorico, soprattutto nei dialoghi, a questo curioso Karate Kid va innegabilmente dato il merito di aver rigenerato un franchise morto con il finire degli anni 80 (il 4° capitolo, con la Swank protagonista, per il sottoscritto non è mai esistito), convincendo sotto molti punti di vista. Registicamente mai banale, e con alcune scene nel loro piccolo davvero notevoli, recitativamente promosso, scenograficamente ammaliante, grazie anche alle bellezze della Cina Imperiale, e musicalmente trascinante, grazie alla colonna sonora di James “Titanic” Horner, The Karate Kid: La Leggenda Continua convince. E già questo, visti gli enormi dubbi della vigilia, è un mezzo miracolo.

Voto: 6,5

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