Partire in tre per una vacanza e tornare in 2.
Andare a ballare, a divertirsi, sapendo che un tuo amico non è con te ma che è in buonissime mani. Stare in una bolgia atroce, spettacolare, in uno stadio trasformato in discoteca. Ridi, sudi e scherzi, aspetti il suo arrivo, che tarda, ma è normale, pensi, è in compagnia, in buona compagnia, con una persona affidabile e che ce l’ha a cuore, la notte è lunga e qui c’è il delirio. Arriverà. E vi divertirete insieme. Come sempre. Come succede da anni ormai, praticamente ogni giorno, ogni fine settimana, ogni estate. Arriverà, continui a ripeterti.
Fino a quando ad arrivare non è lui ma una telefonata. Te sei in bagno che fai il coglione con altri amici. Dall’altra parte del telefono ti dicono che c’è stato un incidente, una moto, un volo di diversi metri, un impatto terrificante, una perdita dei sensi, il respiro che va via, l’ambulanza, la terapia intensiva, i tubi, il dramma.
30 secondi prima eri lì a dimenarti in pista insieme ad altre 10,000 persone, ora sei sempre lì e ti chiedi cosa cazzo stai facendo. Cosa fare. Dove andare. Come muoversi.
Ricostruisci l’andamento della serata. Ti scervelli pensando a cosa sarebbe successo “se”.
Se la cena non si fosse prolungata in maniera così eclatante, se l’avessi aspettato in albergo, se ci fossi stato anche io, se quella maledetta moto l’avesse visto, evitando il terrificante impatto. Se, se, se.
In un istante la vacanza diventa maledetta, le strade di Barcellona si confermano killer, e tutto questo a 36 ore dalla tua partenza. Da quella che sarebbe dovuta essere la nostra partenza. Da quello che sarebbe dovuto essere il nostro ritorno a Roma, per poi ripartire, sempre insieme, per la mia amata Sardegna.
Lo vedi sul letto intubato, con il volto tumefatto e ti si stringe il cuore. Due ore prima era felice e sorridente, ora è una maschera di sangue. E non puoi fare nulla, se non visitarlo nelle due ore di visita al giorno, cercando di consolarlo, di fargli capire che andrà tutto bene, che poteva andare peggio, che sembra solo la Marini al mattino senza trucco. Provi a sdrammatizzare ma la verità è che sei tanto inerme quanto inutile. Non riesci a crederci, non può essere successo, non a lui, non in un’altra città, in un altro paese, lontano da casa, lontano dalla propria madre. Lo vedi e capisci che siamo davvero semplici pedine in un enorme scacchiere la cui partita è stata già giocata, mossa dopo mossa, in attesa del suo arrivo. Lo vedi e ti convinci che non è giusto, che il destino non può essere così bastardo, che non può prendersi gioco di te mentre chiami semplicemente un taxi. Un gesto con una mano, un passo di troppo e tutto cambia, forse per sempre. Sei ‘costretto’ a lasciarlo, a poche ore da un’operazione, in compagnia della madre e di un angelo custode che l’ha seguito secondo dopo secondo, per tornare alla tua città, alla tua vita, decisamente più provato di prima, anche se consapevole che nella sfortuna è stato quasi miracolato, uscendone malconcio e dolorante ma senza conseguenze irreparabili. E soprattutto vivo.
Partire in tre per una vacanza e tornare in 2.
Non c’è cosa più atroce al mondo.
D. ti aspetto, per tornare a sorridere, a divertirsi, a litigare, a scherzare, come prima e più di prima, perché questa benedetta partita è ancora tutta da giocare.
Andare a ballare, a divertirsi, sapendo che un tuo amico non è con te ma che è in buonissime mani. Stare in una bolgia atroce, spettacolare, in uno stadio trasformato in discoteca. Ridi, sudi e scherzi, aspetti il suo arrivo, che tarda, ma è normale, pensi, è in compagnia, in buona compagnia, con una persona affidabile e che ce l’ha a cuore, la notte è lunga e qui c’è il delirio. Arriverà. E vi divertirete insieme. Come sempre. Come succede da anni ormai, praticamente ogni giorno, ogni fine settimana, ogni estate. Arriverà, continui a ripeterti.
Fino a quando ad arrivare non è lui ma una telefonata. Te sei in bagno che fai il coglione con altri amici. Dall’altra parte del telefono ti dicono che c’è stato un incidente, una moto, un volo di diversi metri, un impatto terrificante, una perdita dei sensi, il respiro che va via, l’ambulanza, la terapia intensiva, i tubi, il dramma.
30 secondi prima eri lì a dimenarti in pista insieme ad altre 10,000 persone, ora sei sempre lì e ti chiedi cosa cazzo stai facendo. Cosa fare. Dove andare. Come muoversi.
Ricostruisci l’andamento della serata. Ti scervelli pensando a cosa sarebbe successo “se”.
Se la cena non si fosse prolungata in maniera così eclatante, se l’avessi aspettato in albergo, se ci fossi stato anche io, se quella maledetta moto l’avesse visto, evitando il terrificante impatto. Se, se, se.
In un istante la vacanza diventa maledetta, le strade di Barcellona si confermano killer, e tutto questo a 36 ore dalla tua partenza. Da quella che sarebbe dovuta essere la nostra partenza. Da quello che sarebbe dovuto essere il nostro ritorno a Roma, per poi ripartire, sempre insieme, per la mia amata Sardegna.
Lo vedi sul letto intubato, con il volto tumefatto e ti si stringe il cuore. Due ore prima era felice e sorridente, ora è una maschera di sangue. E non puoi fare nulla, se non visitarlo nelle due ore di visita al giorno, cercando di consolarlo, di fargli capire che andrà tutto bene, che poteva andare peggio, che sembra solo la Marini al mattino senza trucco. Provi a sdrammatizzare ma la verità è che sei tanto inerme quanto inutile. Non riesci a crederci, non può essere successo, non a lui, non in un’altra città, in un altro paese, lontano da casa, lontano dalla propria madre. Lo vedi e capisci che siamo davvero semplici pedine in un enorme scacchiere la cui partita è stata già giocata, mossa dopo mossa, in attesa del suo arrivo. Lo vedi e ti convinci che non è giusto, che il destino non può essere così bastardo, che non può prendersi gioco di te mentre chiami semplicemente un taxi. Un gesto con una mano, un passo di troppo e tutto cambia, forse per sempre. Sei ‘costretto’ a lasciarlo, a poche ore da un’operazione, in compagnia della madre e di un angelo custode che l’ha seguito secondo dopo secondo, per tornare alla tua città, alla tua vita, decisamente più provato di prima, anche se consapevole che nella sfortuna è stato quasi miracolato, uscendone malconcio e dolorante ma senza conseguenze irreparabili. E soprattutto vivo.
Partire in tre per una vacanza e tornare in 2.
Non c’è cosa più atroce al mondo.
D. ti aspetto, per tornare a sorridere, a divertirsi, a litigare, a scherzare, come prima e più di prima, perché questa benedetta partita è ancora tutta da giocare.
P.S operazione riuscita perfettamente, domani lo dimettono, venerdì ritorno a Roma.