Recensione in Anteprima
Uscita in sala: oggi
Postata DA ME anche qui
7 film, una serie tv, addirittura un anime. Negli ultimi 100 anni abbiamo più volte letto e visto le gesta del mitologico Robin Hood, eroe popolare inglese che, nella moderna versione della leggenda, rubava ai ricchi per dare ai poveri. Ebbene, dimenticatevi tutto quello che sapevate di Robin Hood, perchè Sir Ridley Scott per ridare fiato al mito l’ha semplicemente rivoluzionato. Chi era Robin Hood prima di diventare il ‘principe dei ladri’ che tutti abbiamo imparato a conoscere? Partendo da questa semplice domanda Scott ha dato vita al suo “Robin Hood Begins“, portando in sala un guerriero feroce, un combattente nato, pronto a ’scatenare l’inferno’ a suon di frecce e colpi di spada.
Grazie ad uno sforzo produttivo imponente, il regista de Il Gladiatore ha partorito un’Inghilterra medievale stupefacente per quanto credibile, con epiche scenografie da togliere il fiato e costumi da Oscar, perdendosi però clamorosamente nell’intrecciare la sua visione della ‘leggenda’, tra deja vu cinematografici perenni, buchi in fase di sceneggiatura ed un Russell Crowe, nei panni di Robin, clamorosamente poco convincente. Troppo ‘gladiatore’, per non dire “Rambo in calzamaglia”, Crowe, da protagonista assoluto quale doveva essere, finisce per perdere la sfida con quasi tutti i suoi colleghi di set, partendo da uno splendido Mark Strong, proseguendo con un convincente William Hurt, un maestoso Max von Sydow e finendo con una divina Cate Blanchett, nei panni di una Lady Marion incredibilmente trasformata in… Giovanna d’Arco.
Che peccato. La sensazione di aver buttato alle ortiche un possibile ‘filmone’, vedendo questo Robin Hood, è lampante. Dinanzi a simili produzioni le giustificazioni devono essere minime, visto l’enorme budget a disposizione di Sir Ridley Scott. 200 milioni di dollari (senza considerare i 150 di marketing) ben spesi dal punto di vista scenografico ma incapaci di rattoppare alcune evidenti falle. Nel voler riscrivere la storia di una leggenda il regista si è fatto così prendere la mano, blockbusterizzando il tutto, a tratti in modo quasi ridicolo. Più che Ridley, sembrerebbe esserci il fratello Tony dietro la macchina da presa.
Arciere dell’esercito di Re Riccardo Cuordileone, Crowe approfitta dell’improvvisa morte sul campo di battaglia del Re per fuggire dalla Crociata in terra di Francia in cui si trovava, riportando a Nottingham la spada di un Cavaliere, Sir Robert Loxley, morto tra le sue braccia. Qui, di fronte ad un paese, l’Inghilterra, soffocato dalle tasse volute dal nuovo Sovrano Re Giovanni, Robin Longstride, detto Robin Hood, finge di essere il defunto Robert Loxley per permettere a Marion Loxley, sua consorte, di poter trattenere le terre di famiglia una volta deceduto il vecchio e cieco Sir Walter Loxley, padre di Robert. Peccato che il nuovo perfido e subdolo Maresciallo della Corona, Sir Godfrey, trami contro l’idiota Re a favore della Monarchia Francese, pronta ad invadere il paese. Solo Robin Hood, sincero, coraggioso e valoroso cavaliere, riuscirà a convincere i sudditi, in rivolta contro l’avidità di Re Giovanni, ad intraprendere una battaglia nei confronti dell’invasore, vincendola e salvando la corona. Diventato eroe, Robin finirà automaticamente nella ‘lista nera’ del Re, invidioso della sua popolarità e per questo bandito dal regno, con annessa taglia sulla sua testa, trasformandolo in un delinquente, nascosto nella foresta di Sherwood, pronto a rubare ai ricchi per dare ai poveri…
Così nacque la leggenda, ci ricordano gli splendidi titoli di coda di questo agguerrito e gladiatoreo Robin Hood firmato Ridley Scott. Una leggenda, purtroppo, troppo spesso poco convincente e con un protagonista che non affascina. Poche (considerando gli interminabili 145 minuti di durata e la centralità del personaggio) le battute fatte pronunciare da un algido e fisico Russell Crowe, sempre pronto a sentenziare attraverso frasi brevi e inoppugnabili, mentre risultano forzati e davvero gratuiti i tanti flashback che ci portano a conoscere suo padre, morto con onore per difendere un ‘diritto’, all’epoca ancora sconosciuto, e per mano di colui che finirà per essere il suo futuro ‘falso genitore’, ovvero un ottimo Max von Sydow, nei panni di Sir Walter Loxley. Qui, Scott, si perde dei pezzi narrativi, visto che il flashback chiave finisce per non essere minimamente spiegato nella sua complessa esplicitazione, creando solo confusione e fortissime perplessità, mai dipanate.
Dinanzi ad un protagonista ‘zoppo’, i comprimari finiscono così per rubargli la scena. Perfetto, come sempre più spesso accade, il perfido e sfregiato Mark Strong, con Cate Blanchett bellissima nei panni di una Lady Marion cazzuta come non l’avevamo mai vista. Peccato che Scott anche con lei finisca per deragliare, regalandole un finale alla ‘Giovanna d’Arco’ tanto inutile quanto eccessivo. Per quale motivo esagerare fino a tal punto resta davvero uno dei misteri inspiegabili della pellicola, scritta con troppa enfasi epica da Brian Helgeland, persosi poi nel tratteggiare i vari personaggi. Volendo frammentarla, la pellicola potrebbe essere divisa in quattro parti. Riuscita ed avvincente la prima, terribilmente lenta la seconda, in ripresa la terza, folle ed indifendibile la quarta. Omaggiando se stesso, con Il Gladiatore e Le Crociate più volte ‘riabbracciati’, il papà di Blade Runner ci riporta direttamente al 1998 nella lunga e complessa scena di battaglia finale, dove il magnifico sbarco in Normandia di Salvate il Soldato Ryan viene da lui rivisto e corretto, anticipandolo di 800 anni. Togliete le mitragliatrici, metteteci archi e frecce ed il gioco è fatto. Qui, tra fiumi di sangue, soldati a cavallo ed arcieri dalle frecce incredibilmente infinite, Scott tocca purtroppo il fondo del ridicolo (e del giustificabile) attraverso una scena talmente pompata da risultare quasi parodistica, ma perfetta per incorniciare questo suo Robin Hood contro Tutti. Protagonista ovviamente lui, Russell Crowe, uscito dal mare in tempesta, feroce come un leone, insanguinato e pronto a ruggire tutta la propria rabbia nei confronti del maligno Mark Strong, attraverso un gratuito rallenty alla Sly Stallone furente in Vietnam, con tanto di freccia sparata a mille miglia di distanza e sguardo assassino. Hasta la vista Baby!, sarebbe stata la perfetta battuta conclusiva, ma citare anche Terminator a questo punto del film sarebbe stato forse davvero troppo.
Un epilogo davvero inspiegabile (anche se visivamente d’impatto), nell’essere gratuito ed inutilmente eccessivo, per un film tecnicamente articolato e a tratti spettacolare, dal punto di vista dell’azione e del suo svolgimento, ma incredibilmente fallimentare dal punto di vista prettamente registico e autoriale. Annunciato come il ‘nuovo Gladiatore’, questo Robin Hood non è nemmeno lontanamente paragonabile a lui, per tanti, troppi motivi. Ci fosse stato un Michael Bay qualsiasi, dietro questa macchina da presa, potevamo chiudere più di un occhio. Ma dinanzi ad un Sir, e padre di intoccabili ed indimenticabili capolavori cinematografici, come Ridley Scott no, è impossibile farlo. Semplicemente questo non è Robin Hood. Aridateci Errol Flynn. Aridateci il vero Ridley Scott.
Voto: 5