Wolfman: Recensione in Anteprima

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Wolfman
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 19 febbraio
Postato da me anche qui

69 anni dopo la sua prima apparizione torna in sala l’Uomo Lupo, ovviamente non più nei panni del trasformista ed indimenticato Lon Chaney Jr. bensì in quelli di Benicio Del Toro, che da anni voleva fortemente rifare il classico di George Waggner. Peccato che questo ‘remake’, che ne ha passate di tutti i colori, tra registi sostituiti, scene rigirate, tagli assassini e rinvii continui, deluda.

Particolarmente fedele all’originale, l’Uomo Lupo di Joe Johnston è violento, cupo, a tratti quasi pulp, ma non convince nello script, ricco di buchi, nel montaggio, palesemente rimaneggiato, nella fluidità della storia e, incredibile ma vero, nel make up di Rick Baker, mostro sacro del trucco, sei volte Premio Oscar e ‘creatore’ di quella che, ad oggi, resta la migliore trasformazione licantropa della storia del cinema: Un lupo Mannaro Americano a Londra di John Landis, da quasi 30 anni “mostro sacro”del genere.

Lawrence Talbot ha avuto un’infanzia difficile, per non dire traumatica. Una sera, svegliato da grida disumane provenienti dai giardini di casa, vede la madre morta tra le braccia di suo padre. Mandato in manicomio per un anno, Lawrence abbandona la famiglia, il fratello ed il piccolo e Vittoriano paese dove aveva sempre abitato per approdare a Londra, dove intraprende la carriera d’attore teatrale. Fino a quando la fidanzata di suo fratello, Gwen Conliffe, lo rintraccia per chiedergli aiuto, vista la scomparsa dell’amato. Talbot torna così a casa, unendosi alla ricerca e scoprendo che qualcuno, o qualcosa, dotato di una forza bruta e di un’insaziabile sete di sangue, sta seminando morte e distruzione…

Un film nato male. Annunciato nel 2006, inizialmente sceneggiato da Andrew Kevin Walker e diretto da Mark Romanek, Wolfman ha visto sostituiti sia l’uno che l’altro nel giro di un anno, con David Self e Joe Johnston chiamati al loro posto, con il compito di riportare in sala il “mito” dell’Uomo Lupo. Peccato che questi ‘passaggi’ di mano, con annessi rinvii (inizialmente la pellicola doveva uscire il 12 novembre 2008), intere scene rigirate ed un montaggio ritoccato più e più volte, abbiano palesemente inciso sull’intera pellicola.

Wolfman non è un brutto film. C’è dietro un notevole sforzo produttivo, un cast da Oscar, delle affascinanti ambientazioni Vittoriane, un’inquietante e cupa fotografia, che rimanda a Sleepy Hollow, e degli ottimi costumi, ma ciò che manca è uno script decente. La storia viene raccontata male, iniziando e finendo con un’inspiegabile voce fuori campo, a cui segue un montaggio poco razionale, tra flashback non pienamente riusciti che ci riporteranno all’infanzia di Lawrence Talbot e visioni più o meno spaventose.

Joe Johnston decide di catapultarci immediatamente nella storia, dimenticandosi però di amalgamarla e di renderla un minimo coerente. Il film, infatti, è assai fedele alla pellicola originale, con delle dovute aggiunte (e cambiamenti), visto che un titolo dalla durata di 70 minuti, oggi come oggi, sarebbe improponibile. Guadagna così enorme spazio il padre di Lawrence, qui interpretato da Anthony Hopkins, bravo ma ben al di sotto dei propri standard, in un ruolo che era in realtà estremamente marginale nel capitolo originale, mentre entra ed esce senza motivazioni Geraldine Chaplin, nei panni della ’strega zingara’ Maleva, la cui storia viene semplicemente lasciata all’immaginazione dello spettatore. A completare il cast una Emily Blunt perennemente in lacrime, nei panni di Gwen Conliffe, ed un interessante Hugo Weaving (che andrebbe ascoltato in lingua originale), chiamato ad interpretare Frederick George Aberline, ovvero l’ispettore di Scotland Yard che in quegli anni (siamo alla fine dell’800) seguì realmente il caso di Jack Lo Squartatore. Protagonista assoluto, ovviamente, Benicio Del Toro, perfetto licantropo con quelle occhiaie scavate e quello sguardo demoniaco, che da sempre lo contraddistinguono, anche senza trucco.

Self e Johnston si dimenticano però di farci sapere enormi parti della trama, letteralmente mozzata e tagliata con l’accetta tra dico e soprattutto non dico, trascinandola avanti con decine di lune piene e banali nuvoloni in movimento, dando a dei ‘fenomeni atmosferici’ il compito di fare da collante al tutto. Quella stessa colla utilizzata a quintali per trasformare Benicio Del Toro in un Lupo Mannaro, con migliaia di peli di Yak che l’hanno letteralmente coperto dalla testa ai piedi. Qui, l’arduo compito spettava ad un mito del trucco, ovvero Rick Baker. Volutamente fedele al Lupo originale, il trucco “retrò” di Baker convince sinceramente a metà, con un licantropo dal viso probabilmente troppo peloso e dal vestiario che ricorda Hulk, con tanto di camicia strappata e petto villoso in bella mostra. La trasformazione di Del Toro in licantropo nasce abbinando la CG al trucco tradizionale, convincendo in parte. Se la mostruosa trasformazione del viso risulta ben articolata, grazie alle tante protesi ideate da Baker per la maschera, quella delle mani, delle gambe e dei piedi, palesemente in CG, danno troppo la sensazione dell’artificioso, finendo per sfociare soprattutto nel ridicolo, quando l’altro licantropo, ovvero quello che ha morso Del Toro, farà finalmente la sua mostruosa apparizione. Se Johnston è stato convincente nel far correre in lungo ed in largo per la brughiera la bestia, a 4 zampe, di certo non si può dire lo stesso con il combattimento finale, quando la sensazione di ritrovarsi davanti ad uno statico peluche che picchia, salta e ringhia è sinceramente concreta.

Violento, con litri di sangue versato, teste e gambe mozzate, intestini prese a morsi, budella lanciate in aria e terrificanti morsi licantropi, Wolfman non soddisfa, lasciandosi addirittura una porta spalancata per un sequel. La speranza, a questo punto, è che qualcuno impari dagli errori commessi in questo atteso, trascinato, temuto e sinceramente deludente remake…

Voto: 5 –

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