Festival Internazionale del Film di Roma: 5° giornata con L’uomo che Verrà e Vision

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Il Concorso del Festival Internazionale del Film di Roma ieri sera si è letteralmente infiammato. Tutto questo grazie a due titoli, ufficialmente in Concorso, estremamente attesi e capaci di mantenere, chi più chi meno, le premesse iniziale. Parlo de L’uomo che Verrà di Giorgio Diritti e di Vision di Margarethe von Trotta, entrambi applauditi e di diritto in lizza per i premi finali.
A contendersi quello della Migliore Protagonista Femminile, probabilmente, saranno la straordinaria Barbara Sukowa, nei panni di Hildegard von Bingen, e la magnifica Greta Zuccheri Montanari, piccola strepitosa protagonista de l’Uomo che Verrà, capace di emozionare l’intera platea con il solo sguardo, tanto da essere ormai la favorita assoluta per l’ambito premio.
Attorno a loro due film estremamente differenti ma entrambi riusciti, con quello italiano autentica ed inattesa sorpresa e capace di fare la pernacchia a… Spike Lee!
L’Uomo Che Verrà
Quattro anni dopo il pluripremiato Il vento fa il suo Giro (5 candidature ai David di Donatello, 4 ai Nastri d’Argento) torna in sala il promettentissimo Giorgio Diritti, da anni a lavoro per realizzare un film che narrasse il dramma della ’strage di Marzabotto’ nel 1944, ad opera dei nazisti. Fatiche e sudore ripagati pienamente, vista la qualità dell’opera, assolutamente sorprendente. Senza voler esagerare, possiamo tranquillamente dire che Giorgio Diritti ha letteralmente stracciato Spike Lee, che una storia molto simile l’aveva portata al cinema lo scorso anno con il deludentissimo Miracolo a Sant’Anna. Diritti con questo l’Uomo che Verrà affossa Lee, attraverso una regia mai banale, intensa, cruda, tesa, che avvolge gli attori e si amalgama perfettamente all’incredibile dialetto bolognese, incomprensibile e per questo bisognoso di perenni sottotitoli in italiano. Siamo nell’inverno del 1943, alle pendici di Monte Sole, non lontano da Bologna. Qui, una delle tante famiglie di contadini del posto tira a campare, con l’incubo dei tedeschi e delle bombe che piovono sulla città, al di là delle montagne. La piccola Martina ha solo 8 anni. Da quando il fratellino gli è morto tra le braccia ha smesso di parlare, fino a quando la madre non resta nuovamente incinta, facendole ritrovare il sorriso. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre il piccolo viene finalmente alla luce, con le SS che quasi contemporaneamente scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, uccidento oltre 770 persone e facendo passare alla storia quel tragico evento come la “strage di Marzabotto”.
Partendo dalla rischiosa e coraggiosa scelta di far recitare l’intero film in un antico ed ormai inesistente dialetto bolognese, Giorgio Diritti vince una sfida difficilissima, grazie ad una storia tanto drammatica, potente e commovente quanto purtroppo realmente accaduta. Aiutato da una fantastica fotografia, dai toni grigi e quasi color cenere, e da uno splendido tema musicale, Diritti (qui anche sceneggiatore e montatore) merita un plauso anche per la scelta degli attori e per l’impronta recitativa data loro. Ad una Rohrwacher che non è ormai più una sorpresa, infatti, si aggiungono una invecchiata ed intensa Maya Sansa ed una fantastica bambina di nome Greta Zuccheri Montanari, protagonista assoluta del film e a questo punto lanciatissima per il Premio di Migliore Attrice del Festival. La sua Martina, muta per il 99% della pellicola, recita con lo sguardo e con il sorriso, commuovendo e lasciando di sasso. Un film tanto difficile (e commercialmente invendibile) quanto sorprendentemente ed orgogliosamente italiano.
Voto: 7
Vision
Una suora rivoluzionaria. Convince a metà Margarethe von Trotta nella sua appassionata e tecnicamente perfetta trasposizione cinematografica della vita di Hildegard von Bingen. Visionaria appoggiata dallo stesso Papa, che acconsentì affinchè pubblicasse il ‘volere di Dio’, da lei visto e sentito, Hildegard von Bingen fu non solo badessa ma anche musicista, cosmologa, artista, drammaturga, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa, poetessa, consigliera politica, profetessa e compositrice. Peccato che la Trotta esageri con la visione ‘femminista’, portando in sala più che una suora rivoluzionaria una vera ‘passionaria’, una Giovanna d’Arco in gonnella, una ’sindacalista’ del velo, perennemente circondata da uomini cinici, rancorosi, subdoli e peccatori. La Hildegard della regista tedesca sfida il mondo e l’universo maschile nei primi anni dell’anno mille, dando la perenne sensazione di aver decisamente esagerato nel voler calcare la mano. Più che una ‘visionaria’ mandata da Dio, tra l’altro, la badessa della Von Trotta appare spesso più come una donna egocentrica, egoista ed assetata di protagonismo, finendo spesso per sviare lo stesso spettatore. A questi eccessi in fase di scrittura, la Von Trotta alterna fortunatamente una regia delicata, femminile, austera, mai banale e a tratti sublime. Splendida la fotografia, spesso a ‘lume di candela’, come l’intepretazione di Barbara Sukowa, intensa e convincente nei panni della Suora con le palle. A mio avviso solo la piccola “Martina” de L’uomo che Verrà e la Mirren di The Last Station potranno strapparle il Premio di Migliore Attrice del Festival, che risulterebbe comunque strameritato in tutte e tre le circostanze.
Voto: 6,5

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