Un sabato da ricordare. Al 3° giorno il Festival del cinema di Roma ha finalmente iniziato a carburare. Tre i titoli di ‘livello’, con un quarto purtroppo incompiuto. Dopo la proiezione dell’applauditissimo Up in the Air, infatti, sulla capitale sono sbarcati lo spagnolo e sorprendente After, il delizioso e a dir poco perfetto The Last Station e l’altalenante Alza la Testa, italiano in concorso partito benissimo ma ainoi proseguito malamente.
A breve, dopo la proiezione mattutina (alle ore 9 in sala, non potete capire che sonno) potrete invece conoscere le primissime impressioni su Astro Boy! Ma ora, andiamo insieme a dare un’occhiata ai tre titoli di ieri ancora non passati sotto la nostra attenta e ci auguriamo gradita lente d’ingrandimento…
After
Una sorpresa folgorante. Alberto Rodríguez scalda il Festival Internazionale di Roma con After, film in concorso che raccoglie una pioggia di applausi dal pubblico in sala, tanto da diventare uno dei titoli favoriti per il premio finale. Sesso e droga in una calda e folle notte spagnola per tre amici d’infanzia, persi in una vita che non funziona, solitari ed insoddisfatti.
Una notte dove spegnere per 10 ore l’interruttore dell’insofferenza, almeno apparentemente, tra eccessi, alcool e grammi di coca, per poi tornare alle primi luci dell’alba alla dura realtà della vita. Rodriguez gioca con la linea temporale della narrazione, dedicando ad ognuno dei protagonisti un capitolo esplicativo, tra realtà parallele che si intrecciano e ‘misteri’ che si risolvono. Riprese efficaci, una fotografia rossa come la passione, un cane solitario, azzoppato e dolorante a legare i ‘3 capitoli’, pronti a vivere una notte senza dopo, fatta di speranze ed illusioni, per poi spegnersi con le prime luci del mattino. Fantastici i tre attori protagonisti, Guillermo Toledo (già visto in Crimen Perfecto), Tristán Ulloa e Blanca Romero, illuminati nella notte da un cuore rosso fuoco, nuovo di zecca ma incapace di renderli felici. Provocatorio, estremo, duro come un macigno, inaspettato.
Voto: 7
The Last Station
Delicato, fluttuante, storico, romantico, ‘british’, e con un cast da premio corale. Prima attesissima per Michael Hoffman e questo The Last Station, accolto da un prolungato e sentito applauso alla fine della proiezione stampa. Si può fare nel 2009 un film sul rapporto di coppia tra Lev Tolstoj e sua moglie Sofia, nella Russia dei primi anni del 900? Un mattone atroce? No, una sublime pellicola diretta magistralmente e interpretata magnificamente! The Last Station sorprende ed affascina, portando in sala la storia di due amori, uno appena sbocciato e l’altro che si appresta a finire, lasciando sullo sfondo il “tolstojismo”, religione inventata dallo stesso celebre scrittore, autore di Guerra e Pace ed Anna Karenina. Pronto a rinunciare al suo titolo nobiliare, alle ricche proprietà e ai suoi diritti d’autore, in nome della povertà, della castità e del vegetarianismo, Tolstoy arrivò a far nascere una vera e propria guerra d’amore con la compagna di sempre, la moglie di una vita, la contessa Sofia, sofferente per le decisioni prese dal marito, imboccato dai suoi avidi e subdoli ‘discepoli’. Tra battute al vetriolo, corpetti e prove d’attore magistrali, il film diverte ed emoziona, raccontando le difficoltà legate all’amore, sia quando lo si vive, sia quando si deve sopravvivere senza di esso. A dominare e a trascinare il film un cast, come detto, da premio corale. Su tutti due mostri sacri come Christopher Plummer, nei panni di Tolstoj, e la regale e sempre più sorprendente Helen Mirren, nei panni della contessa Sofia, donna tanto teatrale quanto innamorata e combattuta. Tra i due attori scatta una scintilla impensabile, che buca lo schermo, trasformando il tutto in una travagliata ma sentitissima ed emozionante storia d’amore. Al loro fianco un sempre più bravo e qui ‘passivo’ James McAvoy, incapace di reagire e di prendere in mano la situazione, anche quando ne avrebbe la possibilità, ed un subdolo, doppiogiochista, idealista e cinico Paul Giamatti, con tanto di baffetti russi a ‘volta’. Un film difficile, lungo, romantico, indubbiamente non consigliabile a tutti, ma meritevole di applausi e di consensi. Delizioso.
Voto: 7,5
Alza la Testa
Che peccato. Dopo l’ottimo L’aria Salata c’era molta attesa attorno a questo nuovo film di Alessandro Angelini, che finisce invece per deludere. Inizio folgorante, se non quasi sorprendente, per perdersi poi a metà storia, senza mai più riprendersi, tra paradossi, scene surreali, lunghi silenzi e quel “Senso” di già visto nei confronti di Sergio Castellitto, padre ferito, fallito ed “incazzato”, che vomita sul proprio figlio tutte le proprie aspettative e tutti i propri sogni, mai realizzati e toccati con mano. Al suo fianco l’ottimo Gabriele Campanelli, già visto in Mio Fratello e Figlio Unico, per un film che precipita dopo una splendida prima mezz’ora, veloce, vivave, cruda, ‘periferica’, lasciando sulle spalle del bravo Castellitto tutto il peso della trama, purtroppo naufragata ed uscita fuori dai binari in tutta la seconda ed ultima parte. Incompiuto.
Voto: 5