Mentre Avvenire benedice lo “Scudo fiscale” e mette la sordina alle polemiche “immorali” sul conto del premier, si viene a sapere che ben il 68% dei contributi previsti dal governo per l’editoria finiscono alla stampa cattolica.
Si racconta che una volta lo stesso Stalin avrebbe chiesto quante fossero le divisioni del Papa. Il calcolo oggi è presto fatto, almeno per quanto riguarda il fronte italiano. Nel nostro Paese ci sono poco più di 25.000 chiese, Quasi 40.000 preti (1 sacerdote ogni 1.500 abitanti) 238 vescovi, ben 150.000 suore e frati e, soprattutto, molte decine di giornali, riviste, case editrici, librerie, siti internet, radio e tv. Editoria cattolica finanziata da Santa romana chiesa? Non si direbbe. Infatti, spulciando tra i dati riferiti ai contributi del 2008 per i mezzi d’informazione periodica di proprietà di cooperative, enti morali, fondazioni ecc. si scopre che ben il 68% di questi finiscono alla stampa cattolica. Più che contributi all’editoria, quelli che stanzia direttamente la Presidenza del Consiglio, assomigliano ad una specie d’integrazione all’8 per mille. Analizzando ognuno di questi trasferimenti si nota che dei 137 beneficiari totali, 103 sono riferibili a pubblicazioni cattoliche, in altre parole ben il 75,2%. Del totale degli 8 milioni d’euro stanziati dal Governo (per la precisione 8.253.656 euro) circa 5 milioni e mezzo (ovvero il 68%) vanno alla stampa cattolica in tutte le sue sfumature: dai Paolini all’Eco del Chisone, dai Gesuiti alla “Vita Giuseppina”, la rivista mensile della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo che nel 2008 ha percepito ben 30.000 euro di contributo. Una pubblicazione fondamentale che però, sembra, abbia una tiratura per pochi eletti (e non poteva essere altrimenti). Pertanto, scordatevi di trovarla nell’edicola sotto casa.
L’8 PER MILLE – Alla Chiesa cattolica, si sa, sta molto a cuore lo stanziamento dell’otto per mille. Ogni anno, specie quando siamo a cavallo del periodo in cui si compila la Dichiarazione dei redditi, è tutto un fiorire di spot televisivi e radiofonici ed intere paginate di pubblicità sono acquistate dalle gerarchie ecclesiastiche su quotidiani e settimanali. Oltre alla pubblicità per convincere il contribuente della sua meritoria opera, la Chiesa cattolica esercita pure delle vere e proprie pressioni, che potremmo e definire “lobbistiche”, sul governo italiano. Lo scopo? Semplice, garantirsi il miglior trattamento di favore economico possibile. Curiosando tra i dati dell’Agenzia delle Entrate siamo venuti a sapere che solo un quinto dei quasi 1.000 milioni d’euro incamerati nel 2007 è stato impiegato per interventi caritativi: tutto il resto è stato utilizzato per il culto ed il sostentamento del clero. I finanziamenti alla Chiesa cattolica italiana da parte dello Stato italiano comprendono finanziamenti diretti ed altri tipi di oneri economici e finanziari. L’otto per mille è così suddiviso: in quote assegnate e ripartizione successiva di quelle non assegnate. Finanziamenti a scuole ed università private cattoliche, contrattualistica differenziata per gli insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica, successivi finanziamenti a mezzi di comunicazione cattolici, finanziamenti per infrastrutture di proprietà dello Stato Vaticano, finanziamenti per l’assistenza religiosa negli ospedali pubblici, esenzioni fiscali. Quasi la metà, 432 milioni, è stata destinata per esigenze di culto e pastorale. Oltre un terzo dell’incasso, 353 milioni di euro, è stato invece trasferito all’Istituto centrale per il sostentamento del clero, che assicura uno stipendio mensile ai 40 mila sacerdoti in servizio nelle diocesi italiane ed ai 600 preti diocesani impegnati nelle missioni all’estero: poco più di 800 euro al mese ad inizio carriera, che arrivano a 1250 euro mensili per un vescovo alle soglie della pensione (ma va aggiunto che ogni sacerdote può attingere ai cosiddetti diritti di stola vale a dire a offerte per battesimi, matrimoni, funerali, ecc). C’è un secondo mito da sfatare sull’otto per mille, e cioè che nove contribuenti su dieci decidano di destinare alla Chiesa Cattolica. In realtà, lo scelgono appena tre italiani su dieci, ma grazie alla ripartizione dei fondi la Chiesa Cattolica riesce a recuperare il 90% dell’intero gettito. La procedura prevede, infatti, che tutti paghino l’otto per mille e che le quote di chi non fa nessuna scelta siano poi distribuite in misura proporzionale alle preferenze espresse dagli altri. Mediamente meno del 40% dei contribuenti esprime una scelta, ma gli otto per mille del 60% dei cittadini che preferiscono lasciare in bianco tutte e sette le caselle vengono spartiti proporzionalmente tra le varie confessioni religiose e lo Stato, in base alla percentuale di preferenza dei contribuenti che hanno invece messo la firma. Per cui la Chiesa Cattolica – che nel 2007 ha accumulato l’89,81% delle preferenze espresse, corrispondenti, però ad appena il 35% del totale – ha incassato non solo il 90% dell’otto per mille di chi ha scelto, ma anche il 90% dell’otto per mille di chi non ha fatto alcuna scelta.
VADE RETRO – Curzio Maltese, qualche tempo fa su Repubblica, calcolò che la Chiesa cattolica costasse in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro l’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione. “Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire”, nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori. Infatti, il governo Berlusconi con la recente riforma Gelmini ne ha rafforzato il ruolo, equiparando, di fatto, i prof di religione, nominati dalla curia, agli altri docenti (assunti invece per concorso pubblico) nella stesura degli scrutini. Altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi di culti. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, in passato al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi l’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose l’anno, più qualche decina di milioni. La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il “costo della democrazia”, magari con migliori risultati.