Il curioso caso di Benjamin Button
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: Venerdì
Postata DA ME anche su Cineblog.it
New Orleans, 1918, il giorno in cui la Grande Guerra finì. Tra i festeggiamenti della città, in una casa borghese, nasce uno strano bambino, avvizzito, rugoso, vecchio. Per lui il tempo non scorre in avanti, ma all’indietro, attraverso una vita insolita, unica ed inimitabile, fatta di luoghi, persone e storie differenti, fatta d’amore, gioie, tristezza, morti e tanta solitudine. Quel bambino si chiamava Benjamin, Benjamin Button, nato in circostanze particolari…
Quasi 90 anni dopo la sua pubblicazione, David Fincher è riuscito nell’impresa di portare al cinema un celebre racconto di F. Scott Fitzgerald, accarezzato negli ultimi decenni anche da Steven Spielberg, ma mai capace di arrivare in sala, fino ad oggi. Grazie ai miracoli della tecnologia, a 150 milioni di dollari di budget, alle magie del trucco e ad una mano sapiente, Fincher ha realizzato un film tecnicamente quasi perfetto, pensato e realizzato per sbancare gli Oscar, ma incapace di convincere e, soprattutto, di arrivare al cuore dello spettatore. Saccheggiando Forrest Gump a pieni mani, Il curioso caso di Benjamin Button dimostra di essere sicuramente un buon film, ma indubbiamente non il migliore dell’anno…
La storia parte con un espediente che punta subito dritto all’emotività del pubblico statunitense. Siamo nel cuore di New Orleans. L’indimenticato uragano Katrina si sta per abbattere sulla città. In un letto d’ospedale giace un’anziana donna. Al suo fianco la figlia, arrivata al capezzale. La donna, ormai giunta alla fine dei suoi giorni, dal nulla inizia a raccontare la storia di un orologiaio e di un orologio, realizzato appositamente con un meccanismo temporale retroattivo, con la speranza che i figli caduti nella Grande Guerra possano tornare indietro, a casa con i propri genitori.
Da qui chiede alla figlia di prendere un diario, tenuto nascosto dentro la sua valigia, e di iniziare a leggerglielo. Qui, in questo diario, c’è scritta l’incredibile e curiosa storia di Benjamin Button. Di come un bambino nato ottantenne sia riuscito a vivere una vita fatta di storie, di incontri e d’amore, con una bambina conosciuta quando lei aveva 5 anni e lui 80, anche se con il corpo di un bimbo. Fu amore a prima vista, un amore impossibile. Lui vecchio, lei bambina. Ma gli anni passano. Lei cresce, matura, lui ringiovanisce, ’svecchia’. Se il tempo per lui torna indietro, per il resto del mondo procede in avanti, lasciandogli una profonda traccia di solitudine attorno. Tutte le persone che conosce e a cui vuole bene, muoiono, mentre le sue lancette del tempo vanno al contrario…
E’ una storia fantastica, in tutti i sensi, quella partorita da Fitzgerald negli anni 20 e sceneggiata da Eric Roth. Uno sceneggiatore, Roth, che nel 1995 vinse l’Oscar per lo script di Forrest Gump. Una sceneggiatura, a quanto pare, mai dimenticata dal furbo Eric, tanto da averla saccheggiata più e più volte in questo nuovo lavoro. Tanti, troppi sono i rimandi al mitico Forrest Gump firmato Robert Zemeckis per farla passare come pura casualità. I capitoli fondamentali della storia ci sono tutti. Dalla piuma trasformata in colibrì all’amore difficile se non impossibile con l’amore della propria vita, che prima fugge per poi tornare (ricordate Robin Wright Penn?), dal Capitano Mike che ricorda troppo il Tenente Dan, fino all’esagerazione della frase topica di entrambi i titoli, La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita per Forrest Gump, trasformata in dalla vita non sai mai cosa aspettarti, detta più e più volte, in questo Benjamin Button.
Ad amalgamare le due pellicole poi la “storia americana”, forte, potente e patriottica in entrambi i casi, miscelata a slanci di commozione sparsi più o meno ovunque, con nette differenze però tra le due colonne sonore, visto che Alexandre Desplat non è nemmeno minimamente paragonabile al toccante e struggente motivetto inventato da Alan Silvestri.
Il messaggio di speranza, di gioia di vivere dato da Fincher è chiaro. Non è importante se vivi una vita ‘al contrario’, se sei diverso da tutti gli altri, ma è “come la vivi” quella vita che fa la vera differenza. Ad aiutarlo in questa incredibile storia gli son venuti incontro i miracoli degli effetti speciali e le magie del trucco. Vedere Brad Pitt vecchio ottantenne nei panni di un bambino di 7 anni lascia senza fiato, così come è impressionante la trasformazione al contrario, con un Pitt pronto a tornare ai tempi di Thelma e Louise, quando era poco più che ventenne.
Un attore che tocca finalmente la performance più importante della propria carriera, quella della maturità. Sarà anche difficilmente calcolabile l’invadenza degli effetti speciali e del trucco sulla sua prova, ma Pitt per oltre un’ora, la prima, riesce a recitare solo con gli occhi, con lo sguardo, con quello sguardo magnetico e pieno d’amore, di voglia di vivere, anche se in un corpo impensabile. Un’interpretazione sicuramente meritevole, con lui praticamente onnipresente, visto che il film gli ruota totalmente intorno, senza mai perderlo di vista, in nessuna inquadratura.
Al suo fianco una candida, eterea e bellissima Cate Blanchett. Quasi di porcellana nel suo viso da ventenne, (con un trucco che in questo caso ha forse esagerato) la Blanchett invecchia e si sfiorisce mentre il suo amore, conosciuto decrepito, ringiovanisce, fino a tornare neonato. Attorno ai due ruotano Taraji P. Henson , mamma di colore adottiva, amorevole e caritatevole nei confronti di Benjamin Button (ricordate Sally Field?), e Tilda Swinton, prima donna capace di amarlo e baciarlo.
Tutto questo per 150 minuti di film a volte epico e a volta fantastico, romantico e drammatico, storico e surreale, difficilmente difettoso ma sicuramente non perfetto, con il “Fincher Style” che forse si vede solo in una scena, quando il destino ed il fato diventano responsabili di un incidente automobilistico.. Eccessive le 13 nomination agli Oscar, per una pellicola che, probabilmente, dovrà inchinarsi (giustamente…) a titoli come The Millionaire o Milk, accontentandosi così di statuette ‘tecniche’ come quelle relative alla Fotogragia, al Trucco, agli Effetti Speciali e al Montaggio, proprio perchè incapace di emozionare e prendere realmente al cuore lo spettatore.
Probabilmente un capolavoro mancato, sicuramente un buon film, con una piccola traccia narrativa, quella dei “7 fulmini”, che entra di diritto nella storia del cinema per quanto folle e divertente. Vedere per credere…
Voto: 7–-