Come Dio Comanda
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: 12 dicembre
Postata da ME anche qui
Un padre e un figlio. Soli contro tutti. Un rapporto d’amore tragico, violento ed inossidabile. Rino, disoccupato, nazifascista con le svastiche disegnate in casa, è un lavoratore precario. Cristiano, 14 enne, è il figlio da educare, da far crescere in questo mondo che ha dimenticato l’amore per la patria. Un figlio che venera il padre, che lo ama con tutte le proprie forze, considerandolo una guida spiriturale, un faro da seguire, un Dio da rispettare quando ordina e comanda…
5 anni dopo Io non ho Paura, si incontranuo nuovamente Gabriele Salvatores e Niccolò Ammaniti con quest’attesa e complicatissima trasposizione del celebre romanzo omonimo. In una provincia del nord Italia fredda, desolante e alienante, Salvatores smonta il romanzo di Ammaniti, concentrandosi quasi esclusivamente sull’incredibile rapporto d’amore tra padre e figlio, così ’sbagliato’ e politicamente scorretto da non poter conquistare, tra alti e bassi…
Inevitabilmente diverso. Portare in sala le 500 pagine dello splendido romanzo di Niccolò Ammaniti, rimanendone assolutamente fedele, era praticamente impossibile. Salvatores ha raggirato il problema concentrandosi su quello che è il cuore del romanzo, ovvero il rapporto tra Rino e Cristiano, padre e figlio, soli e fondamentali l’uno per l’altro.
Violento, nazifascista e perennemente in bilico tra lucidità e follia, Rino educa Cristiano seguendo delle linee guida che sono estremamente precise nella sua folle e lucida mente. Con amore gli insegna l’odio nei confronti del diverso, degli extracomunitari, degli omosessuali. Gli insegna a picchiare, a fare a botte, a spaccare nasi con la testa, a sparare, a non farsi mai mettere sotto, a farsi sempre rispettare, senza però mai toccarlo con un dito.
E Cristiano è lì che lo ascolta, con gli occhi di un figlio innamorato del padre, rispettato, quasi venerato, se non idolatrato. Sono soli al mondo. Soli contro tutti, in una società che non li capisce, prendendo una direzione sbagliata, da invertire, costi quel che costi. Al loro fianco c’è solo Quattro Formaggi, il matto del paese, il buffone, quello che tutti deridono, tranne Rino, suo unico amico e protettore.
Quattro Formaggi vive per Rino ed adora Cristiano. Sono la sua famiglia, le uniche persone ‘reali’ con cui parlare, esclusi i pupazzetti dell’enorme Presepe che tiene in casa e lei, Ramona, una porno attrice vestita da Cappuccetto Rosso vista e rivista in continuazione in videocassetta, con tanto di trasformazione cronenberghiana della tv.
Tutto questo Salvatores lo porta in sala con una macchina perennemente in spalla, vicina ai protagonisti, tanto da entrargli dentro, da portare sullo schermo le loro emozioni, i loro pensieri, le loro sensazioni. Accompagnato da una magnifica fotografia, e da una colonna sonora che mischia rock e pop, passando dagli sconosciuti Mokadelic a Robbie Williams, il film procede lungo tre atti, quasi shakesperiani nel loro svolgimento.
Il secondo, quello centrale, quello che porterà i tre protagonisti, così politicamente scorretti, così fastidiosi e così fuori luogo, nel bel mezzo del bosco, sotto un vero e proprio diluvio universale, cambierà per sempre le loro vite. Una vera e propria favola dark, un cappuccetto rosso a tinte cupe, cupissime, con un terribile omicidio a compleare il quadro. L’indistruttibile Rino scoprirà di essere fragile, il cieco ed illuso Cristiano comincerà ad alimentare dubbi sul proprio mito, mentre il povero Quattro Formaggi finirà in un tunnel di rimorsi senza via d’uscita. Tutti e tre finiranno nel fango, perennemente bagnati da una pioggia che non purifica, per rialzarsi ancor più sporchi di prima…
Finalmente promosso ad attore protagonista Filippo Timi, giovane realtà ( è assurdo chiamarlo ancora una promessa… ) del cinema italiano. Estremamente ( troppo?) teatrale nella recitazione, Timi porta in sala un Rino perfetto, un Rino scorbutico che odia il mondo e prova amore solo per il proprio figlio, quel Cristiano che gli assistenti sociali gli porterebbero via nel giro di 5 minuti. Eccessivo, infantile, quasi grottesco Elio Germano, dipinto come un folletto della foresta in cerca dell’amore, trovato in un vhs diventato illusoriamente e tragicamente realtà. Al loro fianco il giovanissimo Alvaro Caleca, straordinario quindicenne nei panni del bello e dannato Cristiano.
Ancora una volta Salvatores si dimostra strepitoso nel dirigere piccoli attori, portando in sala l’amore folle, incondizionato ed irrazionale di questo figlio nei confronti del padre. Il piccolo Caleca supera a pieni voti la difficilissima prova, bucando lo schermo con quegli occhi pieni di odio e d’amore, di speranza e di compassione.
Senza dimenticare l’Italia di oggi, quell’Italia che si appassiona ai fatti di Cronaca, che spettacolarizza i brutali omicidi e che mediaticamente circonda i tragici funerali, Salvatores trasforma il romanzo di Ammaniti in una vera e propria favola di paura, così surreale, grottesca e al tempo stesso possibile da inquietare ed affascinare. Non mancano le stonature, con alcuni dialoghi ed alcuni ‘momento recitativi’ estremamente forzati, così come alcune situazioni obiettivamente difficili se non impossibili o la strana ’scelta’ pop musicale ( con annesso il suo utilizzo… ), ma tutto viene cancellato da quell’amore così incredibilmente eccessivo da risultare sconvolgente.
Navigando tra il genere drammatico, il noir, il thriller a tinte d’horror, quello romantico, favolistico e tragicamente attuale, Salvatores non raggiunge i livelli del romanzo di Ammaniti ma trasforma il tutto attraverso tre personaggi, plasmati con il fango, bagnati dall’odio, dall’amore, dalle lacrime, dal sangue e da quell’incessante pioggia mandata giù da chi comanda, in semplice ed emozionante Cinema d’Autore.
Voto:7+