Primo giorno ‘vero’ alla 3° edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Primi film, primi sbadigli, primi applausi, prime passerelle ‘celebri’, e prime polemiche, ovviamente immancabili. Visti il deludente L’uomo che Ama e l’importante 8, la giornata romana è proseguita con l’incontro evento con il mito David Cronenberg, nella capitale insieme alla sua Mostra Fotografica.
Un Cronenberg logorroico, alla mano, che ha fatto una vera e propria lezione di cinema, spaziando tra le varie arti come solo lui sa fare. Ha parlato della sua prima opera teatrale, La Mosca, orchestrata da Placido Domingo e ovviamente in arrivo dal suo celebre film. Per la prima volta dietro una regia teatrale, Cronenberg ha ammesso la fatica e ha sottolineato le differenze evidenti tra il teatro e il cinema.
Un cinema in evoluzione dove a contare sempre più è la post produzione, diventata ormai parte fondamentale della produzione del film. Cronenberg ama proprio questo particolare momento della lavorazione della pellicola, perchè è in questo momento, con l’aggiunta del tema musicale e dei suoni, che il film diventa tridimensionale, uscendo dalla sua bidimensionalità. E’ proprio in fase di montaggio che un regista vede realizzare le sue idee, irrealizzate se a completare il lavoro fosse qualcun’altro.
Passato dal cinema al teatro, senza disdegnare la fotografia, Cronenberg ha addirittura confermato l’arrivo futuro di un romanzo, scritto proprio da lui. Non sarà un romanzo dell’orrore nè un romanzo di fantascienza, nemmeno lui sa cosa sarà ma 60 pagine sono state già concepite, con i relativi diritti per pubblicare il tutto già venduti in giro per il mondo.
Un Cronenberg quindi a tutto tondo, saggio e ammaliante, disturbante e conturbante, come i suoi film. Chiusa la parentesi crononberghiana la giornata è proseguita con la proiezione dei primi due film in concorso: Schattenwelt e The Sea Wall – Un Barrage contre le Pacifique.
Primo film tedesco al Festival di Roma dedicato alla Banda Baader-Meinhof, Schattenwelt porta in sala con una agghiacciante flemma l’incontro scontro di una ‘vittima per sbaglio’ e un carnefice, perseguitato dalla stampa scandalistica dopo 22 anni di carcere. Un ex-terrorista colpevole o innocente, liberato dopo quasi una vita e voglioso di andare a ‘conoscere’ suo figlio, all’epoca dei fatti troppo piccolo per ricordare qualsiasi cosa.
Un sequestro non riuscito, una strage in una villa, un banchiere e un giardiniere brutalmente uccisi ma non si sa da chi, visto che nessuno vuole ammettere di aver premuto il grilletto fatale. Solo una delle componenti della ‘banda’ si pente e punta il dito contro Widmer, per questo condannato al carcere. Dopo 22 anni passati in cella viene liberato, destando nuovamente scalpore tra la stampa, senza sapere però che fuori dal carcere c’è qualcuno che lo aspetta…
Snervanti silenzi e lunghe inquadrature, dialoghi ridotti all’osso, una fotografia chiarissima e sgranata, una storia che parte dopo solo 40 minuti di noia totale, per un film che leggermente recupera terreno nel finale, senza però riuscire nell’impresa di fare troppi passi in avanti. Accolto freddamente dalla stampa, è stata indubbiamente una pessima scelta per far partire la gara ufficiale. Soporifero…
Voto: 4,5
The Sea Wall – Un Barrage contre le Pacifique
Un Cronenberg logorroico, alla mano, che ha fatto una vera e propria lezione di cinema, spaziando tra le varie arti come solo lui sa fare. Ha parlato della sua prima opera teatrale, La Mosca, orchestrata da Placido Domingo e ovviamente in arrivo dal suo celebre film. Per la prima volta dietro una regia teatrale, Cronenberg ha ammesso la fatica e ha sottolineato le differenze evidenti tra il teatro e il cinema.
Un cinema in evoluzione dove a contare sempre più è la post produzione, diventata ormai parte fondamentale della produzione del film. Cronenberg ama proprio questo particolare momento della lavorazione della pellicola, perchè è in questo momento, con l’aggiunta del tema musicale e dei suoni, che il film diventa tridimensionale, uscendo dalla sua bidimensionalità. E’ proprio in fase di montaggio che un regista vede realizzare le sue idee, irrealizzate se a completare il lavoro fosse qualcun’altro.
Passato dal cinema al teatro, senza disdegnare la fotografia, Cronenberg ha addirittura confermato l’arrivo futuro di un romanzo, scritto proprio da lui. Non sarà un romanzo dell’orrore nè un romanzo di fantascienza, nemmeno lui sa cosa sarà ma 60 pagine sono state già concepite, con i relativi diritti per pubblicare il tutto già venduti in giro per il mondo.
Un Cronenberg quindi a tutto tondo, saggio e ammaliante, disturbante e conturbante, come i suoi film. Chiusa la parentesi crononberghiana la giornata è proseguita con la proiezione dei primi due film in concorso: Schattenwelt e The Sea Wall – Un Barrage contre le Pacifique.
Primo film tedesco al Festival di Roma dedicato alla Banda Baader-Meinhof, Schattenwelt porta in sala con una agghiacciante flemma l’incontro scontro di una ‘vittima per sbaglio’ e un carnefice, perseguitato dalla stampa scandalistica dopo 22 anni di carcere. Un ex-terrorista colpevole o innocente, liberato dopo quasi una vita e voglioso di andare a ‘conoscere’ suo figlio, all’epoca dei fatti troppo piccolo per ricordare qualsiasi cosa.
Un sequestro non riuscito, una strage in una villa, un banchiere e un giardiniere brutalmente uccisi ma non si sa da chi, visto che nessuno vuole ammettere di aver premuto il grilletto fatale. Solo una delle componenti della ‘banda’ si pente e punta il dito contro Widmer, per questo condannato al carcere. Dopo 22 anni passati in cella viene liberato, destando nuovamente scalpore tra la stampa, senza sapere però che fuori dal carcere c’è qualcuno che lo aspetta…
Snervanti silenzi e lunghe inquadrature, dialoghi ridotti all’osso, una fotografia chiarissima e sgranata, una storia che parte dopo solo 40 minuti di noia totale, per un film che leggermente recupera terreno nel finale, senza però riuscire nell’impresa di fare troppi passi in avanti. Accolto freddamente dalla stampa, è stata indubbiamente una pessima scelta per far partire la gara ufficiale. Soporifero…
Voto: 4,5
The Sea Wall – Un Barrage contre le Pacifique
Produzione internazionale e cast di tutto rispetto per questo Un Barrage contre le Pacifique, trasposizione cinematografica di un romanzo del 1950 di Marguerite Duras. Peccato che alla fine ne sia uscito fuori un polpettone di due ore con alcuni pregi ma con anche tanti difetti. Siamo nell’Indocina francese, Isabelle Huppert, come al solito ‘tanto particolare quanto unica’ nella recitazione, ha in mano una risaia, vicino al fallimento a causa di un’inondazione.
Vedova e con due figli a carico, la bellissima Astrid Berges-Frisbey e il mostruosamente sexy Gaspard Ulliel, la Huppert va a vestire i panni di una donna tutta d’un pezzo, attenta a frenare la voglia di emancipazione dei due figli adolescenti, restia a farsi mettere in piedi in testa e pronta a tutto pur di metter freno all’inondazione, issando una diga protettiva dinanzi al dirompente e distruttivo destino.
Scenograficamente sontuoso, palesemente costoso e ottimamente interpretato, con una splendida Huppert, un rude, selvaggio, irresistibile e lontano anni luce dall’Hannibal Lecter che l’ha reso celebre Ulliel e una Frisbey bella da togliere il fiato, il film finisce però per essere un melodramma infinito che spesso si perde in nonsense inspiegabili, dando spesso la sensazione di non esser capace ad arrivare ad una motivata conclusione.
Siamo negli anni 30, il colonialismo francese in Indonesia è agli sgoccioli e la Huppert rappresenta proprio questo ultimo respiro di vita coloniale, che tenta con ogni forza di resistere, in questo caso attraverso una diga, incapace però di tener testa all’irremediabilità degli eventi. Pro e contro per un film imperfetto ma sicuramente d’impatto.
Vedova e con due figli a carico, la bellissima Astrid Berges-Frisbey e il mostruosamente sexy Gaspard Ulliel, la Huppert va a vestire i panni di una donna tutta d’un pezzo, attenta a frenare la voglia di emancipazione dei due figli adolescenti, restia a farsi mettere in piedi in testa e pronta a tutto pur di metter freno all’inondazione, issando una diga protettiva dinanzi al dirompente e distruttivo destino.
Scenograficamente sontuoso, palesemente costoso e ottimamente interpretato, con una splendida Huppert, un rude, selvaggio, irresistibile e lontano anni luce dall’Hannibal Lecter che l’ha reso celebre Ulliel e una Frisbey bella da togliere il fiato, il film finisce però per essere un melodramma infinito che spesso si perde in nonsense inspiegabili, dando spesso la sensazione di non esser capace ad arrivare ad una motivata conclusione.
Siamo negli anni 30, il colonialismo francese in Indonesia è agli sgoccioli e la Huppert rappresenta proprio questo ultimo respiro di vita coloniale, che tenta con ogni forza di resistere, in questo caso attraverso una diga, incapace però di tener testa all’irremediabilità degli eventi. Pro e contro per un film imperfetto ma sicuramente d’impatto.
Voto :5,5