Il Divo
Recensione in Anteprima
Uscita in Sala: Mercoledì 28 maggio
A Roma c’è un uomo che da 60 anni la notte non dorme, ma lavora, scrive, prega. Un uomo che rappresenta il potere da oltre 40 anni, sette volte Capo del Governo, otto volte Ministro della Difesa, cinque volte Ministro degli Esteri, due volte Ministro delle Finanze, del Bilancio e dell’Industria, una volta del Tesoro, dell’Interno e delle Politiche Comunitarie. Un uomo che è il principale ‘enigma’ italiano dal dopoguerra ad oggi, un vero Divo della politica di questo paese… Giulio Andreotti.
Portando sullo schermo solo una parte della vita del Senatore a vita, dalla fine del suo settimo governo, aprile 1992, alla vigilia del processo di Palermo, dove fu rinviato a giudizio per associazione mafiosa, con in mezzo la mancata conquista del Quirinale, la strage di Falcone, il rapimento e l’uccisione di Moro e la lunga malattia, Paolo Sorrentino ci regala un capolavoro che meritava la Palma d’Oro e che deve andare agli Oscar…
Chi attacca e umilia il cinema italiano dovrebbe vedere le opere di Paolo Sorrentino, giovane regista napoletano che, con Il Divo, ha confermato di essere il più grande talento mai apparso sui nostri schermi da 15 anni a questa parte.
Visionario, grottesco, surreale, il cinema di Sorrentino è Cinema d’Autore con la C maiuscola, capace di toccare il suo massimo splendore nei primi 40 minuti di questo film. Sorrentino riesce nell’impresa di spettacolarizzare la Democrazia Cristiana e la ‘corrente andreottiana’, portata sullo schermo come una banda di Iene tarantiniane, con Ciriaco Pomicino, detto O’ Ministro, il fidato Evangelisti, detto Limone, Giuseppe Ciarrapico, detto il Ciarra, Vittorio Sbardella, detto Lo Squalo, Salvo Lima, detto Sua Eccellenza e il Cardinale Fiorenzo Angelini, detto Sua Sanità.
L’ingresso in scena della ‘corrente andreottiana’ entra di diritto nella storia del cinema italiano. Un cinema sperimentale, con un taglio volutamente giovanilistico, che viaggia tra realtà e finzione, miscelandole continuamente, fino a farle fondere del tutto, cercando di raccontare, senza scendere nello stereotipo e nella parodia, colui che da oltre mezzo secolo contribuisce a scrivere la storia di questo paese.
Per riuscire nell’impresa Sorrentino si affida a colui che, oggi come oggi, è il più grande attore del nostro cinema, Toni Servillo. Trasformato in Andreotti, fisicamente, nella voce, nei gesti, nello sguardo, nei movimenti, nella camminata, ’scivolosa’ e robotica, quando viene fatta all’indietro per non voltare mai le spalle a chi si ha davanti, Servillo mette a segno l’ennesima incredibile trasformazione di una carriera sempre più apprezzata e premiata.
Attorno a lui ruotano una serie di ‘maschere’ tipicamente sorrentiniane, che hanno segnato quegli anni politici. Da uno straordinario Carlo Buccirosso, impegnato a portare sullo schermo un Ciriaco Pomicino sfavillante, a un diabolico Massimo Popolizio, che veste i panni di Vittorio Sbardella, passando per le uniche due donne della vita di Andreotti, la fedele moglie la sua storica segretaria.
Sono gli anni degli omicidi Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli, del rapimento Moro, che perseguita l’Andreotti sorrentiniano per tutta la vita, della mancata scalata al Quirinale, di Tangentopoli, che non toccherà minimamente Il Divo, ma soprattutto del Processo di Collusione per Mafia, che farà il giro del mondo.
L’ormai mitologico bacio con Totò Riina, con due simboli del potere e del contropotere in contatto diretto, la grottesca agopuntura iniziale, l’alba romana di Via del Corso, tanto surreale quanto affascinante, l’omicidio Falcone, l’amore incondizionato della moglie, con Renato Zero in sottofondo che canta I migliori anni della Nostra Vita, sono solo alcune delle scene che segnano il film.
Se la prima parte è da applausi a scena aperta, la seconda volutamente cambia registro, occupandosi del processo per mafia che vide Andreotti impegnato in prima persona, finalmente pronto a porre fine a quell’immobilismo, politico e mondano, che da sempre l’avevano caratterizzato.
Aiutato da una colonna sonora fantastica, capace di alternare musica elettronica, rock e Vivaldi, e in grado di accompagnare e raccontare il film, trasformandosi in un vero e proprio personaggio fondamentale, Sorrentino realizza il proprio personale capolavoro, attraverso una sceneggiatura brillante e ricca di battute, in perfetto ‘Stile Andreotti’.
Il regista napoletano cerca di alimentare l’enigma andreottiano, lasciando allo spettatore il compito di scegliere ‘da che parte stare’, tranne in una fantastica scena, onirica, dove Servillo sveste i panni di Andreotti e si confessa per la prima volta non al proprio fidato parroco, ma direttamente a se stesso, urlando le proprie verità.
Come disse Montanelli, e Giulio Bosetti, che interpreta Eugenio Scalfari nella pellicola, Giulio Andreotti o è il più furbo impostore, perchè sempre stato capace di farla franca, o l’uomo piu perseguitato di questo paese.
Sorrentino pone le sue basi perchè si possa arrivare a questa ormai mitologica risposta, divisa tra bene e male, casualità e volere divino, attraverso un’opera che rasenta il capolavoro e che marca con forza il cinema italiano degli ultimi 10 anni.
Visionario, grottesco, surreale, il cinema di Sorrentino è Cinema d’Autore con la C maiuscola, capace di toccare il suo massimo splendore nei primi 40 minuti di questo film. Sorrentino riesce nell’impresa di spettacolarizzare la Democrazia Cristiana e la ‘corrente andreottiana’, portata sullo schermo come una banda di Iene tarantiniane, con Ciriaco Pomicino, detto O’ Ministro, il fidato Evangelisti, detto Limone, Giuseppe Ciarrapico, detto il Ciarra, Vittorio Sbardella, detto Lo Squalo, Salvo Lima, detto Sua Eccellenza e il Cardinale Fiorenzo Angelini, detto Sua Sanità.
L’ingresso in scena della ‘corrente andreottiana’ entra di diritto nella storia del cinema italiano. Un cinema sperimentale, con un taglio volutamente giovanilistico, che viaggia tra realtà e finzione, miscelandole continuamente, fino a farle fondere del tutto, cercando di raccontare, senza scendere nello stereotipo e nella parodia, colui che da oltre mezzo secolo contribuisce a scrivere la storia di questo paese.
Per riuscire nell’impresa Sorrentino si affida a colui che, oggi come oggi, è il più grande attore del nostro cinema, Toni Servillo. Trasformato in Andreotti, fisicamente, nella voce, nei gesti, nello sguardo, nei movimenti, nella camminata, ’scivolosa’ e robotica, quando viene fatta all’indietro per non voltare mai le spalle a chi si ha davanti, Servillo mette a segno l’ennesima incredibile trasformazione di una carriera sempre più apprezzata e premiata.
Attorno a lui ruotano una serie di ‘maschere’ tipicamente sorrentiniane, che hanno segnato quegli anni politici. Da uno straordinario Carlo Buccirosso, impegnato a portare sullo schermo un Ciriaco Pomicino sfavillante, a un diabolico Massimo Popolizio, che veste i panni di Vittorio Sbardella, passando per le uniche due donne della vita di Andreotti, la fedele moglie la sua storica segretaria.
Sono gli anni degli omicidi Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli, del rapimento Moro, che perseguita l’Andreotti sorrentiniano per tutta la vita, della mancata scalata al Quirinale, di Tangentopoli, che non toccherà minimamente Il Divo, ma soprattutto del Processo di Collusione per Mafia, che farà il giro del mondo.
L’ormai mitologico bacio con Totò Riina, con due simboli del potere e del contropotere in contatto diretto, la grottesca agopuntura iniziale, l’alba romana di Via del Corso, tanto surreale quanto affascinante, l’omicidio Falcone, l’amore incondizionato della moglie, con Renato Zero in sottofondo che canta I migliori anni della Nostra Vita, sono solo alcune delle scene che segnano il film.
Se la prima parte è da applausi a scena aperta, la seconda volutamente cambia registro, occupandosi del processo per mafia che vide Andreotti impegnato in prima persona, finalmente pronto a porre fine a quell’immobilismo, politico e mondano, che da sempre l’avevano caratterizzato.
Aiutato da una colonna sonora fantastica, capace di alternare musica elettronica, rock e Vivaldi, e in grado di accompagnare e raccontare il film, trasformandosi in un vero e proprio personaggio fondamentale, Sorrentino realizza il proprio personale capolavoro, attraverso una sceneggiatura brillante e ricca di battute, in perfetto ‘Stile Andreotti’.
Il regista napoletano cerca di alimentare l’enigma andreottiano, lasciando allo spettatore il compito di scegliere ‘da che parte stare’, tranne in una fantastica scena, onirica, dove Servillo sveste i panni di Andreotti e si confessa per la prima volta non al proprio fidato parroco, ma direttamente a se stesso, urlando le proprie verità.
Come disse Montanelli, e Giulio Bosetti, che interpreta Eugenio Scalfari nella pellicola, Giulio Andreotti o è il più furbo impostore, perchè sempre stato capace di farla franca, o l’uomo piu perseguitato di questo paese.
Sorrentino pone le sue basi perchè si possa arrivare a questa ormai mitologica risposta, divisa tra bene e male, casualità e volere divino, attraverso un’opera che rasenta il capolavoro e che marca con forza il cinema italiano degli ultimi 10 anni.
Voto:9