La vie en Rose
Cinema FIamma, semivuoto, gay presenti in sala? C’erano solo quelli!
Edith Gassion è stata, ed è tutt’ora, una leggenda della musica internazionale per oltre 30 anni, fino alla sua prematura morte, a soli 47 anni, avvenuta nel 1963.
Quella donna così fragile, goffa, quel passerotto magrolino e malaticcio, possedeva una voce capace di far emozionare, una voce ricca di sfumature, in grado di ammaliare milioni di persone in giro per il mondo.
Quella donna è passata alla storia con il nome di Edith Piaf, nome coniato nel giorno del suo debuto, nel 1935, e l’incredibile vita di questa donna viene rivisitata attraverso questo biopic non convenzionale, che la ritrae in tutta la sua maestosità, fatta di tragedie, sfortune e amore, per l’arte e per la musica.
La vita della Piaf sembra essere stata scritta apposta per un film: abbandonata da piccola dalla mamma cantante, con un padre contersionista scontroso, burbero e ubriacone che l’affida alla nonna proprietaria di un bordello, cresciuta da alcune prostitute, perde la vista per un’infezione, ritrovandola solo dopo un pellegrinaggio sulla tomba di Santa Teresa, viene ripresa dal padre che la porta in giro per le strade francesi, per raccimolare qualche soldo come saltimbanco, e qui ottiene i primi applausi, intonando, a soli 10anni, la Marsigliese ad un entusiasta pubblico parigino.
Crescendo finisce come la madre, a cantare per strada per guadagnare qualche soldo da spendere poi nei bar, fino a quando non viene “scoperta” da Louis Leplée, Gerard Depardieu.
Arrivano i primi successi, ma Leplée viene ucciso, e lei sospettata di essere coinvolta nell’assassino. Ricade nell’olbio, ma si rialza grazie ad un’altro impresario, che da buon mentore gli insegna a cantare con il cuore, con passione, con trasporto, ed arriva il successo mondiale, ma la sfortuna non la vuole abbandonare.
Rischia la vita in un’incidente stradale, finisce in coma, si innamore perdutamente di un pugile, Marcel Cerdan, ma lui muore in un’incidente aereo, mentre viaggiava per raggiungerla.
Con la morte di Cerdan arrivano la depressione, la solitudine, le droghe, l’alcool, la morfina, il delirium tremens, l’invecchiamento precoce, che lentamente la divora, interiormente ed esteriormente, lasciandogli intatta solo una cosa, la sua immensa voce.
Olivier Dahan ci racconta tutto questo con passione e trasporto, oltrechè con discreta qualità, con lunghi e interessanti pianisequenza, attraverso varie linee temporali, spesso sconnesse tra loro, che ripercorrono la vita della Piaf in lungo e in largo.
Il lato melodrammatico è portato all’estremo, forse anche eccessivamente, la maschera di dolore della Piaf sul letto di morte tocca al cuore, così come la magistrale, ed incredibile, interpretazione di Marion Cotillard, capace di trasformarsi nella Piaf con mostruosa ed incredibile bravura.
Dahan riesce a sottolineare la trasformazione della Piaf nell’arco della sua incredibile carriera, capace di migliorarsi, di crescere artisticamente con il passare degli anni, quando il suo corpo lentamente si spegneva, portandola ad implorare “fatemi cantare, se non canto posso anche morire”, in uno struggente e storico concerto all’Olympia di Parigi, dove la Piaf commuove il mondo sottolineando come “Non, je ne regrette rien”.
La pellicola, probabilmente troppo lunga, poggia su una colonna di marmo, ovvero la voce originale della Piaf, che imperversa per tutto il film, deliziando le orecchie dello spettatore, con un crescendo rossiniano finale dove la commozione finisce per farla da padrona, grazie a quel corpicino così minuto e gracile, così curvo e magro, in grado di emettere una voce che arriva dritta al cuore, finendo per farti innamorare perdutamente di questa donna, così sfortunata e così affascinante, che ancora oggi il mondo ricorda come Edit Piaf.
Voto:7
Per chi non l’avesse mai vista ne sentita, ecco la celebre Non je ne regrette rien, ragazzi mette i brividi…